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 2016  maggio 03 Martedì calendario

Le amministrazioni delle città europee contro Airbnb

Airbnb, come altre piattaforme leader nel mondo delle case condivise, potrebbe fare la fine di Uber. Il sospetto c’è, visto che la guerra in Europa all’house sharing è iniziata già da un po’. Prima Barcellona, che lo scorso agosto aveva fatto marcia indietro su una precedente decisione liberalizzando questo genere di proposte a fronte di regole precise: niente subaffitti, pernotto nell’alloggio col visitatore, massimo quattro mesi di attività e tassa da 0,65 centesimi di euro al giorno a persona per il capoluogo e 0,45 per gli altri centri del territori. Poi Parigi, dove i gestori di hotel e resort di lusso si sono mobilitati proprio contro Airbnb, 40 milioni di clienti nel mondo, fino a strappare un accordo. Il portale lanciato nove anni fa a San Francisco da Brian Chesky, Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk – il cui fatturato nel 2015 ha sfiorato i 900 milioni di dollari – nella Ville lumière infatti conta 50mila offerte, con circa 400 proprietà di alto livello che rosicchiano il mercato del lusso. Morale, dallo scorso ottobre l’Hôtel de Ville de Paris (il Comune) ha firmato un accordo con la piattaforma americana impegnandosi a prelevare direttamente la tassa di soggiorno (83 centesimi di euro a notte per persona) sul conto corrente dei turisti per versarla nelle casse parigine. Una trattenuta che nelle casse dell’amministrazione parigina dovrebbe portare circa 5 milioni di euro in più.
Berlino è soltanto l’ultima capitale in europee a schierarsi contro il fenomeno delle case vacanza. Dal primo maggio nella capitale tedesca è in vigore una norma che taglia le gambe a Airbnb, Wimdu o altre piattaforme online come 9flats: i berlinesi non potranno affittare il proprio appartamento o anche solo una stanza, a meno che non posseggano un’apposita licenza. I tragressori riceveranno una multa fino a 100 mila euro. Secondo Andreas Geisel, capo dello sviluppo urbano della città, la nuova legge del land, approvata dal Senato locale nel 2013 e ora in vigore dopo i due anni di transizione scattati nel 2014, «è uno strumento necessario contro l’allarme abitativo a Berlino. Sono assolutamente determinato a rendere questi appartamenti disponibili per i berlinesi e per chi vorrà venire a vivere in città», ha spiegato Geisel. Per il momento soltanto in 6mila locatari hanno chiesto la licenza.
E In Italia cosa accadrà? A Firenze lo scorso gennaio è stato siglato un protocollo d’intesa tra Palazzo Vecchio e Airbnb, che prevede alcuni impegni sia sul piano dell’informazione che dell’imposta di soggiorno. Un accordo simile a quello parigino. Tutti gli host ricevono dalla piattaforma le informazioni sulla città e sugli obblighi previsti in materia di imposta di soggiorno. Inoltre Airbnb si impegna a fare da collettore dell’imposta locale, gestendone direttamente la riscossione non appena si definiranno alcuni aspetti della normativa regionale in materia. «Il problema», spiegano da Airbnb è che «non esiste una normativa nazionale, Firenze chiede una cosa, Napoli un’altra. Sulla disciplina turistica c’è una delega alle regioni che rende il panorama frammentato e difficile da gestire. Nell’incontro con il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, abbiamo chiesto di uniformare la regolamentazione». L’accordo con il Comune di Milano, per esempio, formalizzato nel novembre 2015, copre quattro aree: collaborazione per i grandi eventi quali fiere o esposizioni, realizzazione di studi e ricerche di mercato, alfabetizzazione digitale e la regolazione di aspetti economico-fiscali. A Roma, invece, il protocollo d’intesa, siglato lo scorso febbraio assieme al prefetto della Capitale Franco Gabrielli e il vice questore vicario di Roma Luigi de Angelis, riguarda la sicurezza. Airbnb ha provveduto a creare un’apposita pagina informativa con tutte le informazioni che gli host romani sono tenuti a considerare e un link diretto alla pagina web della Polizia di Roma, per rendere la registrazione degli ospiti più facile, nel rispetto della regolamentazione vigente.