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 2016  maggio 03 Martedì calendario

È stato scoperto il nome dell’inventore di bitcoin. Forse

Fin dalle sue origini nel 2009 il bitcoin, la valuta peer-to-peer «coniata» grazie ai computer in Rete, ha alimentato grandi domande su chi potesse esserne l’inventore. Ora dopo anni di scoop smontati come giocattoli Lego, gialli presto ingialliti e molti dubbi, è quasi una delusione sapere che il padre del bitcoin potrebbe essere proprio lui, Craig Wright, l’imprenditore australiano di 44 anni protagonista di una rocambolesca fuga dal Fisco lo scorso dicembre e sospettato anche di mitomania per il suo bulimico e poco credibile curriculum su LinkedIn.
A rilanciare la sua versione («Sono io»), dopo che Wired Usa e Gizmodo lo avevano già individuato circa cinque mesi fa, è la Bbc che ha parlato di «prove convincenti». Wright ha mostrato in particolare i codici dei blocchi usati per inviare dieci bitcoin, nel gennaio 2009, a Hal Finney. La data è importante: la genesi della moneta è sempre stata datata tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. In quella fascia temporale solo uno dei primi sviluppatori poteva gestire una transazione. Finney, inoltre, è un famoso crittografo che avrebbe aiutato la nascita della cosiddetta blockchain, la vera rivoluzione alla base della moneta che anche grandi banche d’affari come Jp Morgan ora stanno studiando. Lo stesso Wright ha riconosciuto che altre persone avrebbero lavorato alla nascita della moneta senza una Banca centrale. La forza quasi mitologica che il popolo dei bitcoin riconosce alla valuta è proprio questa: mentre i sistemi come Paypal si basano su una struttura centralizzata che funziona come una sorta di bunker, la blockchain condivide le informazioni tra tutti i computer in Rete in maniera tale da rendere impossibile o comunque troppo onerosa la cancellazione di esse nella periferia del web.
«Credo che Wright sia il padre del bitcoin» ha scritto Gavin Andresen, chief scientist presso la Fondazione Bitcoin.
Ma non sono in pochi coloro che, anche in Rete, hanno argomentato i propri dubbi.
Wright ha anche fatto sapere di volere solo tornare a lavorare. «Non cerco denaro», ha detto. Per chi conosce la storia del bitcoin (come qualunque valuta andrebbe scritta minuscola) questa è un’affermazione perlomeno curiosa.
È noto che Satoshi Nakamoto – il nickname con il quale era conosciuto il padre del bitcoin – dovrebbe essere anche il proprietario di un blocco pari a un milione di bitcoin, pari a 441,65 milioni di dollari al valore di ieri. In soldoni virtuali ma non solo dovrebbe essere un uomo ultraricco. Che bisogno avrebbe Wright di mettere su la società DeMorgan, che peraltro gli ha creato i grattacapi con il Fisco?
All’alba del bitcoin il puzzle da risolvere per il conio (partecipando all’operazione si ha diritto a una parte della produzione nelle cosiddette miniere) era molto semplice. Il rebus oggi è molto più complesso, una caratteristica che ha alimentato il sospetto di una sorta di schema Ponzi (per gli ultimissimi sarà difficilissimo guadagnare). Restano i dubbi: nel suo curriculum su LinkedIn si legge che in questi anni ha lavorato per organizzare i master della Charles Sturt University. E, in effetti, in Rete è spesso citato come accademico. In realtà cercando all’interno del sito della Csu, Wright viene nominato l’ultima volta nel 2012 come un esperto di information technology. Il mistero è risolto. O forse no.