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 2016  aprile 29 Venerdì calendario

Sugli attentati ai politici italiani

A proposito dell’elenco degli attentati subiti da uomini politici americani, mi saprebbe indicare quali esponenti del nostro Paese hanno subito analoga sorte?
Andreina Bagnoli

Cara Signora,
Come in altre monarchie europee, gli attentati ai re d’Italia furono generalmente opera di singoli anarchici, pronti a sacrificarsi per i loro ideali. Umberto I, sul trono dal 1878 al 1900, ne ebbe tre. Il primo fu a Napoli, nell’anno della sua ascesa al trono, quando Giovanni Passannante balzò sulla carrozza reale e cercò di colpire il re con un pugnale. Fu fermato dalla sciabola di un capitano dei corazzieri, ma non prima di avere ferito a una gamba il presidente del Consiglio Benedetto Cairoli. Venne condannato all’ergastolo e morì in un manicomio criminale nel 1910.
Il secondo fu a Roma, all’Ippodromo delle Capannelle, il 22 aprile 1897, con le stesse modalità. L’attentatore, Pietro Acciarito, si gettò sulla carrozza con un pugnale, ma il re riuscì a schivare il colpo e le guardie lo immobilizzarono. Umberto non sfuggì invece ai tre mortali colpi di pistola di Gaetano Bresci, un anarchico giunto dagli Stati Uniti a cui i compagni, nel New Jersey, avevano affidato il compito di vendicare la sanguinosa repressione dei moti milanesi del 1898.
Vittorio Emanuele III fu vittima di due attentati e uscì indenne da entrambi. Ma in ciascuno dei due casi gli effetti politici e l’impatto sull’opinione furono importanti. Dopo il primo, nel 1912, il re ricevette tre socialisti riformisti (Ivanoe Bonomi, Leonida Bissolati e Angiolo Cabrini) che si felicitarono per lo scampato pericolo e vennero, per questo gesto, espulsi da un partito in cui l’astro nascente, in quel momento, era Benito Mussolini. Il secondo ebbe luogo il 12 aprile 1928, in occasione della inaugurazione della ottava Fiera Campionaria di Milano. Più che un attentato alla persona del sovrano fu un atto terroristico. La bomba che scoppiò nel mezzo della folla uccise venti persone. I principali attentati a Mussolini furono sette e il solo che lasciò un segno sul suo corpo (una leggera ferita di striscio al naso) fu quello, di fronte al Campidoglio, il 7 aprile 1926, di una anziana signorina inglese. Si chiamava Violet Gibson, era figlia di un nobile irlandese e la sua pistola mirò al volto di Mussolini. Ma il capo del governo, in quel preciso momento, mosse la testa di scatto per salutare la folla con un saluto romano. Nessuno ha mai capito le ragioni dell’attentato. Violet soffriva di turbe psichiche, fu restituita all’Inghilterra e passò gli ultimi trent’anni della sua vita in una clinica psichiatrica di Northampton.
Il principale attentato dell’Italia repubblicana fu quello contro Palmiro Togliatti il 14 luglio 1948. L’attentatore, Antonio Pallante, voleva uccidere il «comunista» e fu condannato a 13 anni di carcere, ma ne fece, grazie a una amnistia, soltanto cinque. Non definirei attentato, invece, quello contro Aldo Moro nel maggio del 1978. Nelle intenzioni delle Brigate Rosse era un atto di guerra contro lo Stato. E forse non definirei attentato, ma gesto teppistico, il lancio di un oggetto di bronzo contro il volto di Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, il 13 dicembre 2009.