la Repubblica, 28 aprile 2016
Con la creatività in crisi la Apple punta tutto sulla praticità dei pagamenti virtuali
Prima la battuta di arresto, poi il passo indietro. La Apple, dopo la scorsa trimestrale in pareggio, mostra il segno negativo. Non accadeva da tredici anni. L’utile netto è stato di “soli” dieci miliardi e mezzo di dollari contro gli oltre tredici dello stesso trimestre del 2015. Questo significa, fra le altre cose, dieci milioni di iPhone in meno. Ma a Cupertino si possono consolare. Assieme a Google e Microsoft hanno in mano un asso: l’universo di servizi e app presenti e future che ruota attorno al loro sistema operativo per mobile.
Tutto il mondo degli smartphone rallenta o si ferma e in certi Paesi, quelli occidentali in primis, in maniera vistosa. Da quando sono nati i telefoni evoluti, non era mai successo che la loro crescita si contasse in pochi punti percentuali. E invece ora la Gartner, azienda d’analisi specializzata in tecnologia, certifica per la prima volta un più 7 per cento dopo stagioni passate a guardare i dati galoppare a doppia cifra. «La vera ragione del calo? Di rivoluzioni tecnologiche su schermo tattile se ne vedono sempre meno. Non ci sono motivi per acquistare un modello nuovo». Da Londra, Roberta Cozza sintetizza così il brutto momento dei colossi dell’elettronica di consumo. Originaria di Cosenza, trasferitasi in Inghilterra diciotto anni fa, da oltre sedici segue proprio per Gartner il settore mobile. «Perfino in Cina il mercato è saturo — continua – Di persone che non hanno mai avuto un telefono ce ne sono sempre meno. E la crescita dall’India e dell’Africa viene bilanciata dalla calma piatta che regna altrove. Noi prevediamo che nel 2020 il mercato a livello globale sarà pieno».
Ripensando a quel che è accaduto da quando nel 2007 Steve Jobs mostrò il primo iPhone, era prevedibile che la corsa sarebbe finita. Gli smartphone hanno fagocitato più o meno tutto finché è rimasto poco da fagocitare. Sono l’unico computer davvero personale della storia, con uno schermo diventato così grande da far battere in ritirata i tablet, un numero di megapixel sufficiente da rendere inutile l’acquisto di una macchina fotografica compatta, processori cresciuti in unità di calcolo e in potenza a tal punto da superare quelli montati sui pc di fascia economica. E poi la rivoluzione delle app che ha messo in difficoltà le console portatili e l’avvento delle reti di terza e quarta generazione grazie alle quali vedere show e serie facendo diventare il display del telefono il nuovo piccolo schermo.
«Il caso Apple è un caso indicativo, ma anche singolare», sottolinea Andrea Lamperti del Politecnico di Milano. «Un anno fa era cresciuta del quaranta per cento. Un periodo straordinario dovuto all’iPhone 6 che ha avuto un successo senza precedenti. È stato il primo iPhone con schermo davvero ampio, molti clienti abituali lo hanno comprato per quello. L’i-Phone 6s è un semplice miglioramento». Ovunque siamo in presenza di “semplici miglioramenti”. Ora vanno di moda le macchine fotografiche a doppia ottica, ad esempio, da quella del P9 di Huawei a quella del G5 di Lg. Alla fine però i modelli più economici, magari della medesima marca, vanno bene ugualmente alla maggior parte delle persone. Hanno prestazioni più che accettabili per scattare una foto, aprire l’app di Facebook, ascoltare musica in streaming. E allora perché acquistarne uno più costoso?
«Si è fermato tutto», conferma Stefano Mosconi da Helsinki. Romano, ex dipendente Nokia, è uno dei cofondatori della Jolla, azienda finlandese che tenta di ritagliarsi a fatica uno spazio con il suo sistema operativo per mobile Sailfish alternativo al duopolio fra Andoid di Google e iOs di Apple. «Dagli smartphone non mi aspetto grandi novità. Resteranno centrali, e restano centrali i loro sistemi operativi, ma il nuovo terreno di ricerca è legato ai servizi e ai dispositivi che ruotano loro attorno. Cominciando dalla rivoluzione nel campo bancario con i metodi di pagamento da persona a persona senza più nemmeno bisogno di avere un conto corrente. Sempre attraverso una app». Per proseguire con la realtà virtuale e l’internet delle cose, quell’universo di oggetti intelligenti che vanno dai termostati alle lampadine fino ai sensori che si possono controllare attraverso un telefono. «E poi le assistenti virtuali», replica Roberta Cozza. «Da Alexa di Amazon a Cortana di Microsoft, fino a Siri di Apple o alle applicazioni smart di Google: ora sono un po’ carenti, ma stanno migliorando a vista d’occhio. Saranno loro a portarci in un’era post app. Dove i servizi non sono più dati solo dalle applicazioni, ma verranno fornite dagli assistenti virtuali». Sempre partendo da ecosistemi nati su smartphone e saldamente in mano alle compagnie americane. Apple inclusa.