la Repubblica, 13 febbraio 2016
Castrogiovanni, tutto felice di giocare tra i giovani dopo aver sconfitto il tumore
«Datemi tempo. Non sono mai stato uno veloce». Castro chiede scusa. E sorride. Capirai, 4 mesi fa hanno scoperto che quella strana stanchezza durante i mondiali era per via di una brutta macchia scura all’altezza dei reni: un tumore, dissero i medici inglesi. La fuga in gran segreto dal ritiro della Nazionale, l’operazione a Milano: era benigno, e se il ragazzo s’impegna magari potrebbe anche recuperare. Infatti. Martin Castrogiovanni -116 presenze in azzurro, mai nessuno come lui – sabato scorso ha fatto a botte per 20 minuti e passa a Parigi, spingendo indietro la mischia francese e sfiorando l’impresa con la Banda Brunel nell’esordio del Sei Nazioni.
Domani con l’Inghilterra sarà un’altra battaglia. Chi glielo fa fare?
«Parto dalla panchina, non ho tanti minuti nelle gambe. Però mi piace l’idea. Ho giocato 8 anni laggiù, mi hanno eletto miglior giocatore del campionato. Mi conoscono. E in campo ci sarà Cole, che ha preso il mio posto a Leicester e non l’ho mai digerita. Sarà divertente».
Il tumore?
«Storia finita. Sciocchezze».
In questi giorni ha trascinato gli azzurri da tanti bambini che lottano per placcare le malattie.
«Ecco i guerrieri, i veri rugbisti. I bambini. Insieme ai genitori, che coraggio. Che forza, che generosità. Domani giochiamo anche per loro».
In un Olimpico esaurito. Mentre con la Lazio l’altra sera erano quattro gatti.
«Il rugby è una festa. Però i calciatori non sono mica diversi da noi. Il problema è che nel loro mondo c’è troppa pressione: le tv, il business. Finisce che si dimentica che stiamo giocando, e in qualche modo educando le persone che vengono a vederci. Per dare il buon esempio bisogna essere sereni. Come quelli del rugby».
Certo, se l’Italia ovale vincesse ogni tanto...
«Ci vuole pazienza. È difficile da chiedere agli italiani. Le cose si costruiscono con calma. Prendete l’Inghilterra: fallito il mondiale a casa loro, hanno preso un nuovo tecnico. Ed impostato una squadra che dovrà vincere, sì: ma fra 4 anni».
Brunel, complici tanti infortuni, sembra aver scelto una squadra diversa. Giovane, avventurosa.
«Ragazzini in gamba. Mi piace. Imparano solo se dai loro responsabilità. E io, povero vecchietto, a 34 anni devo dare loro il buon esempio: facendo vedere che mi impegno. Così, i nuovi arrivati penseranno che così si costruiscono i sogni».
Era successo anche qualche anno fa, con John Kirwan.
«Ci buttò dentro tutti: me, Sergio Parisse e tanti altri. Il rugby italiano ha valore, tradizione: dopo Brunel arriverà una svolta anglosassone (l’irlandese Conor O’ Shea, ndr)? Un cambiamento credo potrà farci bene. Ma Jacques lo devo solo ringraziare».
Castrogiovanni resta il rugbista più amato.
«Dalle mamme. Dai bambini. Ma le ragazze? No, scherzo. Mi fa piacere condividere un pizzico di felicità: questo è uno sport bellissimo».
Sì, però non è che all’ultimo secondo Castro prova un drop come Parisse?
«Prima di chiudere la mia carriera proverò un drop, giuro. Con l’Inghilterra? Non ancora. Però guai a chi se la prende col mio amico Sergio: ha dimostrato di avere le palle. Ha fatto bene, la nostra storia è così: ovale, rimbalzi strani. Domani andrà meglio».