la Repubblica, 13 febbraio 2016
Lo sciacallo, povero e incompreso
La parola sciacallo viene dal turco cagal, che viene dal persiano saghal, che viene dal sanscrito srgalah. Ma gli americani capivano Jack (sic) e alla fine è uscito jackal per loro e sciacallo per noi. Lo sciacallo è un cane con i denti più grandi, perfetti per sbranare le carogne che sono infatti il suo cibo preferito. Per questa sua confidenza con la morte gli egiziani immaginarono a forma di sciacallo il dio Anubi, che regna sull’oltretomba. E da questo il verbo sciacallare per andare a mettere le mani su cose che non sono nostre e in momento poco opportuni. Eppure che qualcuno ci liberi dei cadaveri, evitando puzza e epidemie, dovrebbe essere una benedizione. Invece gli uomini detti sciacalli nella letteratura sono i peggiori, a partire dal killer protagonista del romanzo eponimo di Frederick Forsyth. Esistono tre tipi di sciacallo, dorato striato e quello detto “dalla gualdrappa” per la macchia nera sulla schiena. Quest’ultimo, più piccolo, vive in Africa ed è tra i pochi mammiferi capace di sfidare un leone. Coraggioso, forte, intelligente, anche abbastanza carino, lo sciacallo è il re degli incompresi. Avrebbe voluto essere un delfino? Non lo sappiamo. Magari pensa che sia meglio essere temuti che amati. È più degno far saltare la palla sul naso per ottenere il favore del pubblico o mozzicare cadaveri?