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 2016  febbraio 13 Sabato calendario

Roma poteva essere l’occasione di rilancio per il centrodestra. Ma non è andata così

Roma poteva essere il laboratorio politico del centrodestra. Un po’ quello che sta accadendo a Milano nel centrosinistra, dove la candidatura a sindaco di Sala, comunque la si voglia giudicare, è un tentativo di conciliare l’anima “renziana” del Pd, protesa verso l’elettorato moderato, con l’ala di sinistra rappresentata dai seguaci di Pisapia: una miscela da sperimentare in vista di una proiezione su scala nazionale.
Era lecito immaginare che il centrodestra avrebbe seguito lo stesso modello all’ombra del Campidoglio: il voto comunale come occasione per delineare non tanto nuove alleanze, quanto una rinnovata classe dirigente. Ossia una destra post-berlusconiana capace di definire la propria identità partendo dalla capitale, ma preoccupandosi degli equilibri politici generali. In fondo tutti i sondaggi indicano questo schieramento oltre il 30 per cento nel paese: a patto, s’intende, che i diversi segmenti (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e apporti minori) trovino una seria intesa, non limitandosi a inseguire suggestioni populiste. A Roma il palcoscenico appariva più che favorevole per avviare l’opera di ricostruzione di quel pianeta dissestato. Serviva lungimiranza, intelligenza politica e un po’ di fantasia.
Viceversa il centrodestra è riuscito a inanellare una serie davvero notevole di errori e contraddizioni. Il risultato è un’opportunità mancata, l’ennesima. A cominciare dalla scelta finale del candidato, un Guido Bertolaso riluttante e dal profilo parecchio debole sul piano mediatico – quindi anche elettorale – a causa delle vicende che lo hanno coinvolto nel recente passato. Se a Roma Berlusconi e i suoi alleati volevano fare un favore al Pd, la cui squadra sulla carta sembrava sconfitta in partenza, e in fondo anche al centrista Marchini con la sua lista civica, la discesa in campo di Bertolaso potrebbe rivelarsi la mossa perfetta. L’uomo ha avuto una stagione di grande popolarità quando guidava la Protezione Civile in anni ormai lontani. Poi la sua stella si è appannata in modo definitivo, con una serie di strascichi giudiziari, e non solo giudiziari, che lo hanno spinto fino in Africa, dove ha fatto del volontariato.
RIPROPORRE oggi il nome di Bertolaso risponde a una logica di mera sopravvivenza con il sapore del passato. Serve a impedire che Giorgia Meloni, depositaria nella capitale di una certa quantità di voti, presenti una candidatura di rottura che confermerebbe il caos in cui versa l’arcipelago ex berlusconiano. S’intende che la richiesta di Fd’I – scegliere il nome attraverso le primarie – è stata del tutto disattesa. E si capisce, dal momento che le primarie avrebbero prodotto sorprese poco gradite al vecchio leader. Non è un mistero, fra l’altro, che avrebbero potuto premiare un personaggio di temperamento e fuori dagli schemi come Francesco Storace.
Così si è scelto un candidato “a perdere”, in attesa di giocare le carte migliori al ballottaggio. Ma i voti del centrodestra peseranno solo nel caso in cui ad accedere al secondo turno sarà Alfio Marchini. Nell’ipotesi in cui la partita fosse fra Giachetti, Pd, e il Mr.X dei Cinque Stelle, la sconfitta dell’alleanza berlusconiana sarebbe netta e inappellabile. Forse sarebbe stato meglio presentare a Roma un “city manager” come Stefano Parisi che invece è stato candidato a Milano – lui romano – dove la corsa contro Sala è in salita. Viceversa nella capitale, città in cui l’elettorato di destra fino a ieri era forte e dove il centrosinistra sconta la disfatta della giunta Marino, i veti incrociati impediscono alla strana alleanza Berlusconi- Meloni-Salvini di essere credibile. Così si dissolve, nel disincanto dell’opinione pubblica residua, la “chance” di trasmettere un’idea del futuro secondo il centrodestra, una visione che non sia solo l’invettiva contro gli immigrati e contro l’Europa.