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 2016  febbraio 13 Sabato calendario

Le banche tedesche sono chiaramente inefficienti

Se le banche fanno paura alle Borse è colpa di Mario Draghi, dicono in Germania. Sostengono che i tassi di interesse troppo bassi impediscono di guadagnare facendo credito: dunque non serve, è forse controproducente insistere nell’espansione monetaria. Lo scopo è di limitare la portata delle decisioni nuove che la Bce prenderà il 10 marzo.
Vero è che la corsa verso (prima impensabili) tassi negativi, ormai dilagante nel mondo, pone sfide serie alle aziende bancarie. Ma se la Germania ne è colpita più degli altri, se tremano i suoi colossi con grattacielo a Francoforte, le ragioni si trovano al suo interno. Da ben prima della svolta Draghi le banche del più forte Paese dell’euro stentavano a guadagnare. Nel 2011 la verifica che il Fondo monetario compie a intervalli di alcuni anni, chiamata Fsap, nel confronto tra i grandi Paesi d’Europa trovava solo in Germania una profittabilità negativa. Proprio per compensare gli scarsi guadagni sul mercato interno i banchieri tedeschi si erano gettati a scommettere nel casinò della finanza internazionale.
Anzi, a proposito di casinò, la Deutsche Bank nel tentativo di recuperare l’insolvenza di un costruttore americano si era ingegnata a gestirne uno a Las Vegas, perdendoci circa due miliardi di dollari.
Anche dopo chiusure e fusioni provocate dalla crisi restano in Germania troppe banche, troppi sportelli, troppi impiegati: nell’autunno scorso un rapporto della Bain, nota società di consulenza Usa, consigliava di ridurre i costi del 30% e il personale del 20% nell’arco di un decennio. Allo stato, solo il 6% delle aziende era in grado di remunerare il capitale.
Infatti il rimbalzo all’insù delle quotazioni ieri deve molto alla notizia che la Commerzbank, seconda banca del Paese, ritornerà a pagare un dividendo dopo anni, per la prima volta dal 2007. Dal crack nella grande crisi l’aveva salvata un intervento dello Stato federale, oggi principale azionista (che all’attuale prezzo di Borsa resta comunque in perdita di 3 miliardi e mezzo di euro).
Un bilancio esatto del denaro pubblico ricevuto non è possibile, perché l’esito di molte operazioni è ancora in corso. Stando alle più aggiornate cifre, di 144 miliardi di interventi ne sono finora rientrati 27,6. Ad esempio, per tenere aperta la disastrata Hsh-Nordbank, la città di Amburgo e la regione Schleswig-Holstein rischiano perdite gravi nel 2018, quando dovrà essere venduta o chiusa.
Tuttavia la presenza pubblica nella Commerzbank ha portato a un più rapido risanamento, che consente ora speranze; mentre resta in mezzo ai guai la Deutsche, che per non ricorrere ad aiuti di Stato e restare indipendente ha diluito nel tempo il riconoscimento delle perdite.
Non è che l’Italia si debba rallegrare dei guai altrui, specie con la montagna di crediti «in sofferenza» che deve smaltire. In tutti i Paesi euro, quale più quale meno, i poteri finanziari hanno complicato la gestione della crisi. Ma oggi dalle difficoltà delle banche tedesche può emanare una spinta davvero pericolosa per tutti.
Nel basso costo del denaro risiede l’unica speranza che le imprese riprendano ad investire e che nelle famiglie diminuisca la paura di consumare. In un mondo dove di risparmio ce n’è fin troppo, è il normale funzionamento del mercato a spingere all’ingiù l’interesse, premio al risparmio.
Certo ha dell’assurdo che oggi i banchieri centrali facciano a gara nello sperimentare tassi di interesse negativi, mai visti prima nella storia. Presenta rischi. Ma l’unica soluzione migliore rispetto a penalizzare il risparmio sarebbe quella che gli attuali equilibri politici europei precludono: attrarlo a finanziare investimenti utili concordati tra i Paesi.