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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

La maxi liquidità non c’è mai quando serve

Le banche centrali inondano il mercato di liquidità e intanto il mercato si lamenta per mancanza di liquidità nel trading dei titoli di Stato e delle obbligazioni. I canali dell’irrigazione monetaria si sono prosciugati proprio dove più servono in questi giorni, nella quotazione dei prezzi in denaro/lettera (acquisto e vendita), inaridendo il terreno del market making. Quando i mercati crollano e si avvitano, in automatico la liquidità scende. Ma adesso c’è l’aggravante delle norme restrittive e prudenziali sull’attività di trading delle banche, entrate in vigore dopo il crac Lehman in Europa e negli Usa. Le nuove regole, introdotte per proteggere i bilanci delle banche da attività ritenute speculative e pericolose, sono un boomerang, in momenti come questi di elevata turbolenza: riducendo lo spessore del market making (e quindi il cuscinetto che potrebbe assorbire in parte le ondate di vendite), la volatilità viene amplificata e il calo delle quotazioni gonfiato.
“Lo spread tra la quotazione denaro e lettera sul mercato secondario dei BTp si è allargato in questi giorni come è normale che sia in momenti di alta tensione, e comunque non come nel novembre 2011 – ha commentato un trader – ma i prezzi che appaiono sui nostri schermi sono applicati solo a piccoli importi : quando gli ammontari delle vendite aumentano, lo spread tra bid/offer si allarga e le quotazioni effettive, reali, diventano molto più basse”.
Nel mondo dopo-Lehman, i dealers hanno meno bilancio a disposizione per assorbire i flussi di carta governativa e questo crea tensioni sul mercato e sui rendimenti. Quando l’attività di trading di una banca è chiamata ad assorbire grossi flussi di vendite, i suoi traders oramai non possono superare certe soglie che sono state abbassate con i nuovi requisiti prudenziali: questo significa che oltre una certa quantità, i trader stessi della banca sono costretti a vendere, a smantellare altre posizioni aperte. Mettendosi a vendere a loro volta, o riversando sul mercato gli stessi quantitativi a loro venduti in tempo reale, gli operatori delle banche contribuiscono al calo dei prezzi. Si crea un effetto-valanga. Sapendo i traders che non rivenderanno a un prezzo migliore, perchè non potranno attendere un eventuale rialzo delle quotazioni, applicano loro stessi una quotazione già scontata. L’incertezza inoltre porta gli investitori a rimanere alla finestra: e anche questo riduce la liquidità.
Negli Usa, il Dodd-Frank Act – introdotto nel 2010 per prevenire un’altra Grande Crisi finanziaria – impone alle banche di dimostrare con scambi effettivi di acquisto e di vendita l’attività di trading per ammontari prestabiliti. Questo serve a controllare fughe in avanti sul propriety trading: ma questo intervento ha ridotto la flessibilità del market making.
La camicia di forza che le banche devono indossare nell’era post-Lehman, per evitare default di grandezza sistemica, è dunque stratificata. Il market making è limitato e con esso si è esasperata la volatilità e quando va tutto male, si ingrandisce il crollo degli asset in pancia agli intermediari. Il rinvio della Mifid 2, un atto dovuto in queste circostanze, non basta ad alleviare l’impatto negativo del bail-in: le banche italiane sono incoraggiate a riacquistare i senior bond e le obbligazioni subordinate venduti alla clientela retail (una montagna alta 200 miliardi di euro), con un aumento certo dei costi di raccolta. In aggiunta, per prepararsi al peggio in caso di future norme più restrittive, alle banche italiane viene suggerito di alleggerire le posizioni in titoli di Stato italiani (poco meno di 400 miliardi): per prepararsi, nel caso in cui questi asset, ora risk free, scatenino accantonamenti di capitale a fronte di rischi sovrani con rating basso. Non da ultimo, il fardello delle sofferenze (200 miliardi) andrebbe anch’esso smantellato, e quanto prima possibile, per fare spazio in bilancio all’erogazione di nuovi prestiti. Ma l’arrività tradizionale “burro e marmellata” delle banche, il credito a famiglie e imprese, è resa meno redditizia dai tassi negativi imposti dalle banche centrali. La manna della liquidità, se c’è, non si vede.