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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

Chiara Talliano, l’ostetrica che preferisce il parto in casa

Aurora ha 6 anni, Luce 4, Libero 2 e, l’ultimo, Leone, appena dieci mesi. Sono fratelli e sono nati tutti in casa. Una volta Enzo Bianchi, il priore di Bose, ha raccontato: «Sono nato in casa e fu una nascita difficile». Ma era l’inverno del ’43, e l’Italia era in guerra. Questi quattro bambini, invece, sono i figli di due genitori di Alba, forse la città più ricca del Piemonte. Dalla finestra della loro cameretta-sala parto si intravede l’ospedale pieno di specialisti e tecnologia, con le macchine per le ecografie, le équipe mediche che al primo intoppo ti tirano fuori col taglio cesareo e le ambulanze pronte a partire in caso di emergenza. La mamma, Chiara Talliano, un’ostetrica di 28 anni, ha rinunciato volentieri a tutte queste comodità. Perché? «Volevo rispettare la naturalità del parto e godermi la magia del momento, senza sottovalutare i pericoli che pure esistono». Lo ha fatto non una, ma quattro volte e per nessuna ragione al mondo tornerebbe indietro. Di professione assiste le donne in gravidanza che scelgono di rinunciare all’ospedale, convinte che il mondo miglior per mettere al mondo un figlio sia farlo restando dentro le mura di casa. Ha iniziato questo percorso dopo l’Università e un master e in sei anni ha seguito una quarantina di nascite a domicilio. 
La filosofia è semplice: a casa c’è più privacy, maggiore comodità e la famiglia può restare unita. «Per ragioni organizzative in ospedale il parto non può essere personalizzato – continua – e spesso si corre il rischio di un ricorso ingiustificato alla medicalizzazione. Restando a casa invece si preserva un ambiente protetto». O almeno ci si prova. «Una volta – racconta – nel mezzo di un parto è suonato il campanello di casa, era la vicina che si offriva di aiutarci». Nel caso di Chiara c’è un valore aggiunto, il marito Matteo che di anni ne ha 34 e lavora come medico pediatra, specializzato in neonatologia. Una coppia nella vita che all’occorrenza si trasforma quasi in un reparto ospedaliero ambulante. «Ma non tutti i papà devono fare i medici – aggiunge -. Agli uomini non richiediamo un impegno, ma se hanno voglia possono collaborare. Loro sono i padroni di casa e hanno un ruolo più organizzativo».
E i rischi? Ovviamente esistono specie se non vengono seguite le linee guida nazionali che regolano le procedure. L’ultimo esempio è la tragedia avvenuta questa settimana a Spirano, nel Bergamasco, con protagonista una donna di 36 anni che ha perso il figlio proprio durante un travaglio a casa. Al momento della nascita ad assisterla c’era solo il marito (non un professionista sanitario) che ha chiamato il 118 quando ormai era troppo tardi. «Il parto deve essere organizzato e gestito da professionisti, anche io mi sono fatta aiutare» insiste Chiara. «Noi seguiamo le donne nel corso dei mesi per accertarci che la gravidanza proceda regolarmente e non esistano fattori di rischio. Solo in questo caso si può seguire un parto domestico, diversamente le donne devono recarsi in ospedale o in una struttura attrezzata». 
In Italia il fenomeno è stimato in due casi su mille, ma sta aumentando. In Piemonte è previsto un rimborso per le donne che scelgono questo percorso fino a 930 euro, mentre in Emilia Romagna il contributo arriva a 1200. Non abbastanza per coprire le spese, ma comunque un segnale che la pratica rappresenta un’alternativa al parto tradizionale. L’assistenza fornita da due ostetriche varia a seconda dei casi e dei professionisti, ma costa mediamente tra i 2500 e i 3000 euro. Una cifra impegnativa, anche se esistono esempi di servizi offerti nella Sanità pubblica che sono gratuiti: Torino, Modena e Reggio Emilia. Un modello che ora potrebbe essere replicato da altre strutture. «In ogni caso – conclude Chiara – l’importante è farsi seguire da professionisti perché nessuno può essere l’ostetrica di se stessa». Nemmeno chi sceglie di tornare felicemente indietro nel tempo.