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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

Anche i banchieri centrali sono esseri umani

Il 21 gennaio una dichiarazione del presidente della Bce, Mario Draghi, bastò a rassicurare i mercati, causando un rimbalzo dei titoli finanziari, in picchiata da inizio anno. Mercoledì è stata un’uscita di Janet Yellen, presidente della Fed, a dare sollievo alle Borse. Il sereno, però, è durato lo spazio di poche ore. La Banca centrale svedese ieri ha tagliato i tassi, senza suscitare entusiasmi.
L’impressione è che gli operatori economici siano meno inclini a slacciare la cintura di sicurezza solo per un cinguettio delle banche centrali. La colpa non è certo di Draghi, l’uomo che salvò l’euro con le tre parole whatever it takes, o di Yellen, che non sono meno qualificati dei loro predecessori. 
Negli ultimi anni, la politica si è affidata sempre di più alle banche centrali. Quando è nato l’euro, la Bce aveva un solo obiettivo: controllare l’inflazione. Quando una istituzione ha un solo compito è più probabile lo svolga bene: concentrerà su di esso tutte le sue energie, sarà valutabile rispetto a un chiaro indicatore di performance. Oggi, ufficialmente o ufficiosamente, chiediamo alle banche centrali di governare l’inflazione, garantire occupazione e crescita, mettere in sicurezza la stabilità dei mercati. 
Di più: in Europa, abbiamo di fatto riconsegnato alla Bce il compito per cui le banche centrali, dalla Bank of England a fine Seicento in poi, sono state fondate, ovvero fare la banca del sovrano, consentendogli di indebitarsi con più tranquillità.
Il problema è che non esistono politiche passe-partout. Se ci avviciniamo a un obiettivo, possiamo allontanarci dagli altri.
Ne abbiamo un esempio in queste settimane. La crisi dei titoli bancari, in Borsa, è dovuta a molti fattori: l’inversione ciclica in America, l’abbassamento dei tassi di crescita dell’economia cinese (l’una cosa e l’altra ampiamente previste), le vendite da parte dei fondi sovrani che, con il petrolio a trenta dollari, debbono liquidare per continuare ad assicurare margini di manovra ai governi da cui dipendono. Ma la causa principale anche se non unica è data dai tassi prossimi a zero o negativi. Le banche sono imprese che prestano soldi. La loro remunerazione è legata al tasso d’interesse, che è il prezzo del futuro: il tasso al quale si è disposti a barattare il proverbiale uovo oggi per la proverbiale gallina domani.
Una situazione nella quale i tassi sono negativi, per capirsi: in cui rinunciando a un uovo oggi si ottiene non già una gallina, ma mezzo uovo domani, è problematica per chi presta quattrini. Anche per questo le nostre banche soffrono tanto: per anni abbiamo vantato come un merito il fatto che non parlassero inglese, cioè che fossero concentrate sulla loro attività tradizionale. Proprio l’attività dalla quale oggi è più difficile estrarre profitti.
Politiche monetarie espansive non sono una novità: ma lo è uno scenario nel quale non c’è probabilità, a breve, di un ritorno a tassi d’interesse «normali». I tassi negativi o quasi servivano a «trascinare» nel presente decisioni di spesa che altrimenti sarebbero state rimandate a un tempo futuro. Non si può pretendere, però, che ciò non abbia impatto sul mondo del credito. 
Aggiungiamo un altro fatto: abbiamo reagito alla crisi finanziaria del 2007-2008 chiedendo una «stretta» regolatoria. Poco importa che i business meno regolati (gli hedge fund) abbiano sofferto meno di quelli più regolati (le banche). Ci siamo convinti che i problemi stessero nella scarsa regolazione, piuttosto che nella cattiva regolazione. Il progressivo aumento del carico regolatorio ha anch’esso un impatto. 
La pressione sulle spalle dei banchieri centrali è fortissima. Si può dire che la politica si è rivolta a loro, perché ormai incapace di decidere, o di farlo con la necessaria prontezza. 
È difficile che una singola politica possa rispondere a necessità fra loro molto diverse, e soddisfare gruppi che hanno interessi fra loro divergenti. Anche i banchieri centrali sono esseri umani. Speriamo non si riveli una scoperta sconvolgente.