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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

Renzi sfida l’Europa sulla riforma del bilancio: «Decidiamo da soli». Ma dove troverà i 4 miliardi che mancano per ridurre il debito?

Riformare il bilancio dello Stato, cancellare d’ora in avanti le clausole di salvaguardia, strappare la camicia di forza dell’ortodossia rigorista. La nuova linea di sfondamento nei confronti della «Ue dei burocrati», decisa da Matteo Renzi, ha iniziato a prendere corpo mercoledì notte, durante l’ultimo Consiglio dei ministri. Due decreti legislativi sulla «riforma del bilancio dello Stato» sono la pallina di neve destinata a produrre la valanga.
Il progetto del governo è di arrivare a un punto fermo già ad aprile, quando verrà approvato e presentato alla Commissione il Def, Documento di economia e finanza. «L’Italia si riprende la sua sovranità», ha spiegato Renzi ai ministri, «saremo noi a decidere se tagliare le tasse, a chi e come».
In termini contabili si tratta di una rivoluzione. Che nelle intenzioni dovrebbe portare a cancellare per sempre quelle «clausole di salvaguardia», che il governo italiano – nell’anno più nero di Berlusconi, il 2011 – fu obbligato a inserire nella legge di Stabilità a garanzia della tenuta dei conti pubblici di fronte all’Unione europea. E da allora, anno dopo anno, si sono rinnovate come una spada di Damocle sulla testa dei contribuenti, costringendo ogni governo – da quello tecnico di Mario Monti alla grande coalizione di Enrico Letta – a un’affannosa rincorsa per evitare l’aumento automatico dell’Iva e delle accise. Una prassi extracostituzionale, un’imposizione che non sta scritta in nessun trattato europeo, ma che l’Italia si autoinfligge per far accettare da Bruxelles le proprie manovre di bilancio. Anche Renzi ha dovuto chinare la testa. E se l’ultima legge di Stabilità ha sterilizzato nel 2016 16,8 miliardi di clausole di salvaguardia tra aumenti di Iva e accise, l’eredità per il futuro resta enorme: 15,1 miliardi nel 2017, 19,5 miliardi nel 2018 e 2019. Una mazzata in grado di bloccare i consumi interni e quindi la ripresa. 
Se il Consiglio dei ministri di due giorni fa ha dato inizio alla svolta, anche il Parlamento sta facendo la sua parte. La commissione bilancio di Montecitorio ha approvato un’indagine conoscitiva sulla riforma del bilancio, arrivando a conclusioni bipartisan. Stavolta persino i grillini sono d’accordo. Sparirà la procedura finanziaria come l’abbiamo conosciuta finora. La legge di Stabilità e quella di Bilancio saranno unificate in un unico documento contabile, uno strumento dinamico che conterrà sia le innovazioni legislative (aumenti di tasse, tagli, revisioni di spesa, investimenti), sia i saldi. «Una riforma epocale» l’ha definita il presidente della corte dei conti Raffaele Squitieri. Per Enrico Morando, viceministro dell’Economia, si tratta di «un fatto enorme: con questa innovazione entriamo veramente in Europa. È l’unico modo tra l’altro per fare davvero una seria revisione della spesa, affidando ai dirigenti dello Stato degli obiettivi di spesa misurabili, aumentando così la loro responsabilità». Quanto alle famigerate clausole di salvaguardia, secondo Morando «il loro ripensamento è un effetto, una conseguenza naturale di questa innovazione». Francesco Boccia, Pd, presidente della commissione bilancio, ne ha fatto la sua missione: «Senza l’abolizione di quelle clausole non c’è più democrazia, il Parlamento non conta più nulla». D’accordo ma se finiscono i soldi che succede? «Il governo torna in Parlamento e si decide lì dove prenderli, dove tagliare e chi tassare. Non lo decidono altri a Bruxelles con una clausola di salvaguardia automatica». Una «camicia di forza», che Renzi si vuole scrollare di dosso. Anche le iniziali perplessità di Padoan sull’ennesima sfida alla Commissione (mentre pende ancora il giudizio sulla manovra 2016) sono state superate. Dunque si parte. Quando? Subito. «Entro primavera sarà tutto approvato», pronostica Morando. In contromano rispetto alla proposta franco-tedesca di un ministro del tesoro europeo, il premier intende quindi utilizzare la riforma del bilancio italiano come strumento politico per svincolarsi dalla gabbia dell’austerità e riprendersi la propria autonomia sulle decisioni di contabilità pubblica. Il momento, del resto, è quello giusto. Se persino un leader finora allineato e coperto alla Merkel come lo spagnolo Rajoy è arrivato ieri a invocare «maggiore flessibilità», è il segno che anche i totem più intoccabili possono essere abbattuti.
Intanto all’orizzonte si profila un altro scontro, quello sul debito. Ieri l’ad di Fs, Renato Mazzoncini, ha annunciato che la quotazione della società «slitta al 2017». Significa che il governo non potrà rispettare l’impegno a ridurre il debito pubblico come stabilito (circa 4 miliardi dalla privatizzazione di Ferrovie). Il Tesoro troverà altro da vendere e sceglierà di non rispettare gli impegni presi con Bruxelles?