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 2016  febbraio 12 Venerdì calendario

«I mercati esagerano». Il caso Deutsche Bank secondo Schäuble

Per chiunque altro sarebbe stata un’affermazione normale. Per quest’uomo no. Pochi come Wolfgang Schäuble in questi anni si sono dimostrati disposti a credere nella razionalità dei mercati: secondo il ministro delle Finanze tedesco, il controllo sui governi e sulle imprese deve venire in primo luogo da lì. Schäuble pensa sia giusto lasciare che i mercati svolgano fino in fondo il loro lavoro, imponendo perdite ai creditori o ai correntisti delle banche in crisi; e magari anche agli investitori in titoli degli Stati più indebitati. Solo così, sostiene, tornerà la «disciplina». 
A maggior ragione quella che per altri sarebbe stata una frase normale, da lui è un’affermazione straordinaria. Ieri l’ha formulata: i mercati «esagerano», ha detto. Dato che non parla spesso così, si può forse essere perdonati nel sospettare che Schäuble avesse in testa un caso specifico. Dall’inizio dell’anno Deutsche Bank, la prima banca della prima economia dell’area euro, ha perso il 39,8% alla Borsa di Francoforte. I derivati che garantiscono contro la sua insolvenza – il meccanismo è simile a una polizza assicurativa – iniziano ad avere premi esorbitanti. Ieri il costo per garantire le obbligazioni subordinate di Deutsche Bank, le più a rischio, implicava il 30% di probabilità di insolvenza della banca entro cinque anni (con poi un recupero di appena 20% del capitale investito). I prezzi sulle obbligazioni più sicure sottintendono invece una probabilità di default del 20%, e un recupero non oltre il 40%. 
Stavolta però forse Schäuble sbaglia. Non è ovvio che i mercati esagerino, non è escluso che si comportino in modo perfettamente razionale. Impongono la loro «disciplina». Deutsche Bank è così esposta sui mercati finanziari globali, ai dati di bilancio dell’autunno scorso, che le basta una perdita del 7,2% sui suoi investimenti per azzerare l’intero patrimonio totale di 68,8 miliardi di euro. Perché, nel bene e nel male, questa non è un’azienda simile alle sue concorrenti italiane, francesi o spagnole. Funziona in modo diverso. Non ha un prevalente portafoglio di prestiti a imprese fatte di macchine e mattoni, o a famiglie che comprano casa. Ha in bilancio quasi mille miliardi (952) di attivi puramente finanziari, di cui solo 71 «disponibili per la vendita» immediata; il resto, incluso un pacchetto da 570 miliardi di derivati, è valutato in tutto o in parte dalla banca stessa. Non ci sono prezzi pubblici sul mercato per quelle posizioni di rischio, solo complessi «modelli interni» dell’istituto. La Banca centrale europea per due volte ha esaminato Deutsche Bank e ha deciso che anche nei peggiori scenari aveva zero deficit di capitale; oggi il mercato dice che a quei «modelli» di Deutsche crede poco. 
Chiedersi perché il primo istituto di un Paese così prudente somigli a uno hedge fund, significa entrare in ciò che non funziona dell’unione bancaria in Europa. La Germania chiede riforme agli altri Paesi, ma sulle banche è indietro di decenni rispetto a Francia, Spagna o Italia, di anni sulla Grecia. Circa il 65% del mondo del credito tedesco è in mano pubblica, fra Volksbanken (popolari), Genossenschaften (cooperative) e Landesbanken (regionali). Questa foresta pietrificata è intrecciata alla politica locale e coperta da garanzie pubbliche per 492 miliardi di euro, a dati Eurostat. Competere contro di essa nei territori è dunque impossibile, al punto che Deutsche Bank ha appena 500 sportelli in Germania e cerca di guadagnare esponendosi a forti rischi finanziari sui mercati globali. Di qui i problemi quando questi ultimi crollano. 
Restano solo alcune domande. Non è chiaro perché la «foresta pietrificata» tedesca, due terzi del settore nazionale del credito, sia riuscita a sottrarsi alla vigilanza della Bce quando in Francia, Grecia o Italia l’80% delle attività vi sono sottoposte. Né perché Bruxelles non prema per eliminare quelle (vecchie) garanzie, quando in altri Paesi un solo euro di nuovo aiuto pubblico fa scattare il colpo di falce sui risparmiatori. Soprattutto, non è chiaro cosa succede ora. Deutsche Bank è troppo grande per fallire senza innescare una catastrofe, le sue passività sono pari al 54% del Pil tedesco. Gli investitori iniziano a pensare che il governo di Berlino interverrà per salvare la banca e infatti assicurare il debito pubblico tedesco oggi costa un po’ più di ieri, perché si sospetta che questo salirà. È possibile che le dure regole volute da Schäuble sui salvataggi ora siano sospese. Si vedrà presto se in Europa c’è un sistema bancario più uguale degli altri.