Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 11 Giovedì calendario

I giapponesi della Asahi vogliono la Peroni. E al mastro birraio italiano la cosa non dispiace

La birra Peroni potrebbe diventare giapponese, almeno dal punto di vista della proprietà. Già non era più «italiana» dal 2003, quando era stata acquisita dalla britannica Sab Miller, ma adesso sta per rendersi ancora più esotica. Confermando le voci che si susseguivano già dall’inizio dell’anno, la giapponese Asahi ha presentato un’offerta da 2,55 miliardi di euro per la Peroni e l’olandese Grolsch. Questo passaggio di mano rientra in un risiko globale del settore della birra un po’ complicato da raccontare. La belga-americana Ab InBev ha inglobato la Sab Miller, ma l’antitrust dell’Ue ha sollevato un problema di eccessiva presenza sul mercato europeo del nuovo gruppo nascente, e ha posto una condizione per dare via libera: Peroni e Grolsch vanno cedute a terzi. E si è fatto avanti il gruppo giapponese Asahi. Advisor dell’operazione
è Rothschild.

Luigi Grassia

*****

«Cinquant’anni di vita e di lavoro alla Birra Peroni. Ho cominciato nel 1963, a 22 anni, sono uscito nel dicembre del 2012». Giorgio Zasio, nato a Feltre, 74 anni, è quasi sicuramente il mastro birraio più esperto del nostro Paese: una lunga storia d’amore con la birra e con la Peroni.
Dottor Zasio, come comincia la sua vita nel mondo della birra?
«Eh, uno zio, il fratello di mia madre: allora era direttore di una fabbrica, la Birra Pedavena in provincia di Belluno, che ai tempi era importante. Trovai il mestiere appassionante e divertente. Per fare la birra si lavorano prodotti naturali: l’orzo viene trasformato in malto, il malto si trasforma in mosto di birra, poi viene fermentato. È l’unica bevanda che non ha mai subito sofisticazione alimentare. Non c’è bisogno di utilizzare nulla che non sia disponibile in natura».
Nel 1959, appena diplomato, lei andò in Germania, a lavorare e soprattutto a studiare al Politecnico di Monaco di Baviera. Come mai?
«Era l’unica cosa da fare, se si voleva fare sul serio bisognava andare là. È l’Harvard della birra, è la più antica facoltà di scienze birrarie del mondo, fondata nel lontano 1865».
E poi la Peroni.
«1963. Ero laureato da appena tre mesi. E in Birra Peroni ci sono rimasto per cinquant’anni. Quaranta collaborando con la famiglia Peroni, e dieci con la proprietà Sab Miller. Allora Peroni era un marchio nazionale: ma molto forte al Centro-sud, e assai debole al Nord. Solo nel 1970 si riuscì a riequilibrare la situazione».
Si dice che lei sia stato uno degli “inventori” della Peroni Nastro Azzurro...
«Diciamo di sì. Nastro Azzurro è nata proprio nel 1963, ma era molto diversa da quella attuale. Era troppo alcolica, e risultava sempre meno gradita dai consumatori. Ci abbiamo impiegato due anni per fare un restyling, e cambiare il volto della Nastro Azzurro, senza perdere la clientela più affezionata».
In che modo?
«Abbiamo abbassato l’”amaro”, ma anche ridotto il grado alcolico. Ed è venuta fuori una birra più in linea con i tempi. Un gusto molto diverso da quello della Peroni”classica”. Nessun paragone possibile poi con la “Gran Riserva”, una birra da meditazione che ha sette gradi alcolici, anche quella sviluppata da me in occasione dei 150 anni dell’azienda nel 1996».
La Nastro Azzurro era una birra di élite?
«Sì. Ed è stata la prima birra reclamizzata in televisione con quelle belle ragazze bionde… lo slogan diceva “Chiamami Peroni sarò la tua birra’’. La prima testimonial, tra il 1965 e il ’69, fu Solvi Stubing».
È «facile» produrre birra?
«Guardi, perché ogni birra abbia lo stesso sapore bisogna adattare la produzione al raccolto, alle materie prime. Abbiamo fior di laboratori supertecnologici, ma la principale analisi si fa con l’assaggio: ogni mattina alle undici c’è un gruppo di assaggiatori. L’ho fatto per 35 anni...».
Non è un peccato che Peroni, come tanti altri marchi italiani, sia stata venduta a gruppi esteri?
«Premesso che sono dieci anni che la famiglia Peroni ha passato la mano, meno male che a comprare l’azienda sia stato Asahi, che è un bravo birraio, e non i fondi d’investimento, che hanno sempre interessi speculativi. Quanto alla parte affettiva, beh, noi vecchi dirigenti ci ritroviamo ogni anno a cena prima di Natale con il dottor Rudi Peroni, e ci raccontiamo le cose di venti o trent’anni fa. Gli aspetti affettivi sono importanti, ma più importante ancora è che l’azienda e chi ci lavora possa guardare al futuro con fiducia».
Roberto Giovannini