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 2016  febbraio 11 Giovedì calendario

Perché Sanders e Trump hanno vinto in New Hampshire

Il sorriso iconico della «regina nera» domina il tratto della Malcolm X boulevard sopra la 125 esima strada, dove un folto gruppo di persone si accalca dalle prime ore del mattino. Siamo ad Harlem, cuore nero di Manhattan, davanti al ristorante Sylvia’s, «the Queen of soul-food», il suo volto campeggia all’entrata circondato dalle grandi lampadine anni Settanta, quasi in attesa di due ospiti particolari: Al Sharpton, il reverendo paladino dei diritti civili degli afro-americani, ma soprattutto Bernie Sanders, la star della «notte magica» di Concord, quella che lo ha incoronato re dei democratici del New Hampshire.
Il candidato alla nomination di partito arriva direttamente dal «Granite State», reduce da un trionfo alle primarie col 60% dei voti contro il 38% di Hillary Clinton. Il senatore socialista («Sono un democratico sociale in stile scandinavo contrario alla collettivizzazione dei mezzi di produzione», ha rettificato lui ultimamente), è come se avesse giocato in casa, il New Hampshire è un feudo Democratico, confinante con il suo Vermont liberal. Ma è anche vero che Sanders ha fatto incetta di voti in ogni sacca elettorale, tra i giovani, nonostante i suoi 74 anni, gli operai, colletti bianchi, scoraggiati, indecisi e donne. Quel «tradimento rosa» che Hillary temeva alla vigilia. Ed ecco che Bernie dall’aula magna della Concord High School, dopo il verdetto dei seggi, parla di «futuro in cui credere».
La gente lo acclama chiamandolo il «candidato rock che nemmeno le tempeste riescono a fermare». Tempeste di neve come quella che si è abbattuta in New Hampshire durante il voto, e che ha seguito Sanders a New York, dove è sopraggiunto di gran lena, facendo prima una promessa. «Vinceremo perché il governo di questo Paese appartenga a tutta la gente – ha detto – vi assicuro vinceremo dappertutto per un vero cambiamento».
A partire dal Nevada, ma soprattutto dalla Carolina del Sud, prossime due tappe del carrozzone elettorale americano, propedeutiche al Super Tuesday del 1 marzo quando andrà a votare in blocco il Sud. Una partita che si giocherà su un terreno assai più difficile, quello dell’elettorato afro-americano e degli evangelici. Sanders sa che la strada verso la Carolina del Sud passa per New York, ad Harlem, dove Al Sharpton lo attende alle 9.30.
La «regina del soul food» non è nuova a vertici Dem organizzati dal reverendo battista, nel 2008 fu il turno di Barack Obama, a giorni sarà quello di Hillary. Ora tocca al re socialdemocratico del New Hampshire. Ci sono sostenitori e abitanti comuni curiosi di capire chi è veramente questo «bianco» che vuole allearsi nella eterna lotta dei neri. Questo ci dice Linda, 30 anni, contabile in un’assicurazione, che parla di «scelta cruciale a novembre». Eliott è un dottore in fase di specializzazione, è ebreo come Sanders, anche lui di Brooklyn: «La gente di New York è intelligente e sa quando un politico dice la verità, come Bernie, questa è l’unica occasione che abbiamo di salvare il Paese».
E la Clinton? «Un vampiro che succhia il sangue della brava gente». Bernie entra da Sylvia’s scortato dal Secret Service, parla con Al Sharpton venti minuti, il tempo di un caffè con crema di latte. Esce senza rilasciare dichiarazioni, solo sorrisi e mani alzate in segno di vittoria, torna subito a macinare chilometri e conquistare elettori, in primis afro-americani. «È la sua ossessione», ci rivelano fonti vicine allo staff.
Del resto i sondaggi lo danno indietro sulla Clinton in Carolina del Sud, 64 a 27%, con il 74% degli afro-americani a favore dell’ex First Lady e appena il 17% per lui (Nbc/Wsj). Al Sharpton parla di lui: «È un segnale molto importante che la mattina dopo una vittoria storica sia venuto ad Harlem a fare colazione con me». «Abbiamo affrontato la crisi dell’acqua di Flint, e il problema della brutalità della polizia – racconta – La mia preoccupazione è che quando nel gennaio 2017 un presidente nero uscirà dalla Casa Bianca non escano anche tutti i diritti conquistati dalla comunità afroamericana». Nessun «endorsement» annunciato per ora, ma il reverendo si tradisce quando qualcuno urla «Sanders-Sharpton per la santa alleanza». «Amico – risponde – ci puoi scommettere».
Francesco Semprini

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Donald Trump, celebrando la vittoria nelle primarie del New Hampshire (ha preso il 35%) ha detto che sarà «il più grande presidente mai creato da Dio». Di sicuro però non lo ha creato l’establishment del Partito repubblicano, che adesso dovrà giocarsi la carta della South Carolina per cercare di fermarlo.
La vittoria di Ted Cruz in Iowa non aveva eccitato i notabili del Grand Old Party, perché il senatore del Texas non ha molti amici fra i colleghi e viene considerato troppo estremista per vincere a novembre. La buona notizia, però, era che aveva battuto Trump, dimostrando come fosse possibile arginare la sua marea populista. Il New Hampshire, primo vero voto dove l’organizzazione sul terreno non contava come nei caucus, ha dimostrato che non è così. Donald ha cambiato strategia e si è concentrato sul corteggiamento degli elettori molto più di quanto non avesse fatto in Iowa, ma soprattutto ha dimostrato che quando la macchina della raccolta fisica dei votanti non ha un ruolo così determinante, la sua popolarità non ha rivali. In base agli exit poll, Trump ha conquistato la maggioranza tra i cittadini preoccupati per gli effetti dell’immigrazione illegale, la disuguaglianza provocata dalla crisi economica, e la sicurezza dell’America rispetto alla minaccia terroristica. Se è così, cosa rimane ai rivali? Tutti i temi fondamentali di questa campagna soffiano nelle vele di Donald, a parte forse le questioni sociali legate alla fede. E qui è il terreno su cui l’establishment comincerà a lavorare per farlo deragliare in South Carolina.
Questo è lo stato che tradizionalmente fa la prima vera selezione tra i candidati repubblicani, con le buone o le cattive maniere. Nel 2000 George Bush aveva bloccato l’insurrezione di John McCain, facendo circolare fra le altre cose la voce che l’eroe del Vietnam aveva avuto un figlio nero segreto fuori dal matrimonio. Nel 2007 la storia si era ripetuta, stavolta per azzoppare Romney nelle presidenziali dell’anno dopo, quando gli elettori avevano ricevuto una cartolina di auguri natalizi in cui si sosteneva che il mormone Mitt sosteneva la poligamia.
La South Carolina ha una forte base evangelica, simbolizzata in particolare dalla Bob Jones University, considerata una scuola cristiana fondamentalista. Trump ha ottenuto l’appoggio del figlio di Jerry Falwell, il reverendo battista della Virginia che aveva creato la «Moral Majority», su cui Ronald Reagan aveva costruito la sua conquista della Casa Bianca. Non è detto però che ciò basti a consolidare le sue credenziali tra gli evangelici, sempre sospettosi dei suoi «valori newyorchesi», cioè troppo liberal sui temi sociali. Su questo aspetto punta soprattutto Cruz, che spera di ripetere la sorpresa dell’Iowa appoggiandosi agli elettori motivati soprattutto dalla fede.
L’establishment però non ama il senatore del Texas, e spera che invece il colpo decisivo a Trump lo dia Jeb Bush. Il risultato del New Hampshire ha resuscitato la campagna dell’ex governatore della Florida (quarto con l’11%), o comunque non l’ha uccisa definitivamente. Ora Jeb può contare su due cose: i 120 milioni di dollari raccolti dal suo Super Pac «Right to Rise», che sta già investendo in una massiccia offensiva pubblicitaria, e la popolarità di suo fratello George, che verrà di persona ad aiutarlo. George nel 2000 fu salvato e incoronato dalla South Carolina, e spera di ripetere l’operazione con Jeb. È popolare fra gli evangelici, ma anche fra i militari, che rappresentano una larga fetta dell’elettorato dello stato, e diffidano di Trump che da ragazzo aveva evitato di servire nelle forze armate.
Kasich, vera sorpresa del New Hampshire col suo solido secondo posto (16%), non ha molte possibilità di ripetersi al Sud. Gli elettori centristi e indipendenti che lo hanno aiutato non sono così numerosi in South Carolina, e quindi il suo obiettivo ora è sopravvivere fino a quando si comincerà a votare nel Midwest. Rubio – quinto, 10,6% – invece dovrà usare tutto il fascino del politico che viene dal Sud, per cercare di riconquistare il ruolo di alternativa preferita a Trump, vinto in Iowa e perso in New Hampshire. L’establishment dunque punta sulla South Carolina per bloccare Trump, ma il punto di partenza è lo stesso degli altri stati, con Donald minaccioso in testa ai sondaggi.
Paolo Mastrolilli