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 2016  febbraio 11 Giovedì calendario

Intervista a Stefano Parisi, il candidato del centrodestra a Milano

Stefano Parisi ha deciso: «Mi candido a sindaco. Ho sentito forte intorno a me il consenso e la coesione di un centrodestra ampio, che va da Salvini a Berlusconi, da Fratelli d’Italia a Maurizio Lupi con Ncd e penso che Milano sia una città ricettiva dove potrò mettere a servizio le molte esperienze che ho fatto nella mia vita e nella mia carriera». Cinquantanove anni, romano, dal ’97 a Milano con moglie e due figlie, un passato che vanta fra l’altro la guida a Palazzo Chigi del Dipartimento di economia per un quinquennio, dal governo Amato al governo Prodi; l’esperienza di city manager a Palazzo Marino con l’allora sindaco Gabriele Albertini; la direzione di Confindustria e poi di Fastweb fino alla nascita di Chili, la nuova piattaforma italiana di video. Si era fatto il suo nome per Palazzo Marino durante una cena ad Arcore, nel dicembre scorso e lui lo scoprì dai giornali: «La mia prima risposta a Berlusconi fu che non potevo, per motivi di lavoro».
Cosa è cambiato?
«Avevo bisogno di capire come potevo organizzare Chili e poi volevo essere certo di avere un consenso ampio da parte della coalizione che mi dovrà sostenere. Soprattutto le garanzie avute da chi mi sosterrà mi hanno spinto a rompere gli indugi».
Cosa succederà a Chili?
«Ero molto preoccupato perché è una start up nata da poco, cui tengo molto: ha sede alla Bovisa, ci lavorano una sessantina di giovani e gli azionisti che hanno investito qui volevano essere certi che questa mia decisione non provocasse ricadute negative. Ma abbiamo studiato una soluzione organizzativa che presenteremo nei prossimi giorni e che mi lascia tranquillo: Giorgio Tacchi, l’amministratore delegato e fondatore e gli altri manager la guideranno nel suo percorso di crescita, con il pieno supporto degli azionisti».
Una soluzione con l’intervento di Silvio Berlusconi?
«Assolutamente no, Mediaset e Chili sono concorrenti».
Chi glielo fa fare di mettersi in questa corsa?
«Ho riflettuto molto perché questa decisione cambia i miei orizzonti: ma credo che si debba reagire a questo senso di rassegnazione nei confronti della politica. Quando ero giovane, per me la politica era un valore e dobbiamo tornare a portare positività intorno all’azione amministrativa: possiamo farlo partendo da Milano, che è una città piena di risorse».
Con il centrodestra? Non è una coalizione che ha perso troppi consensi a Milano?
«Il centrodestra ha perso oggettivamente terreno e dal 2011 a Milano molta gente è delusa e ha smesso di votare. Questo esperimento credo ci consentirà di ricostruire una maggioranza moderata, aperta anche al mondo riformista e liberal democratico di questa città, che ha voglia di liberare le energie positive. Guardo anche all’esperienza che sta facendo Corrado Passera: siamo amici e ha fatto un grande lavoro di analisi che deve trovare casa in questa coalizione».
State pensando a un accordo prima del voto?
«Spero che troveremo un percorso per lavorare insieme».
Un’idea per Milano?
«Dobbiamo riprendere a pensare al futuro di Milano come fecero le giunte Albertini e Moratti: tutto quello che oggi fa parlare di “miracolo Milano”, dalle riqualificazioni di Porta Nuova all’Expo, è nato lì. E ho paura che quando arriveremo in Comune troveremo i cassetti della giunta arancione vuoti di progetti. Dobbiamo costruire una Milano aperta, globale, libera e creativa».
Gabriele Albertini si era presentato come «amministratore di condominio»: sarà il suo modello?
«Aggiungeremo anche una visione di insieme aperta al futuro. In linea di massima bisogna però occuparsi della vita quotidiana delle persone, perché la buona amministrazione viene dalla qualità dei servizi e dalla buona organizzazione. E poi questo amministratore avrà a che fare con un condominio digitale: è inaccettabile che il Comune, che ho lasciato 15 anni fa, abbia ancora 130 banche dati che non parlano fra di loro. Digitalizzare vuole dire maggiore efficienza e trasparenza».
Il suo profilo non è troppo simile a quello del suo avversario, Giuseppe Sala?
«Veniamo da esperienze di lavoro in parte simili, lo stimo ed è possibile trovare punti in comune nei nostri programmi. Ma c’è una differenza fondamentale».
Quale?
«Il nostro disegno di una città libera e aperta trova l’appoggio e il consenso pieno della mia maggioranza. Sala invece dovrà fare i conti con il radicalismo di sinistra e la forte subalternità a Roma: sentiremo molti annunci che non potrà concretizzare, come ha dimostrato il recente caso degli scali ferroviari, un progetto di sviluppo saltato perché a Pisapia è mancato il voto di un pezzo di maggioranza».
Sala è molto più popolare di lei a Milano: un problema?
«Quando Albertini si candidò non lo conosceva nessuno: ma ha vinto, è stato rieletto ed è ancora oggi molto amato dai milanesi».