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 2016  febbraio 10 Mercoledì calendario

Allegri e Sarri, l’Acciuga e il Secco che in comune non hanno solo il soprannome. Verso Juve-Napoli

Poteva essere il 2003. Uno spettatore alla fine s’aggrappa alla rete e grida: «Se siete allenatori voi due, posso allenare anch’io». Sangiovannese-Aglianese, C2. In panchina: Maurizio Sarri e Massimiliano Allegri. «Era un mio amico, quello che gridava. E non aveva torto: 0-0 senza un tiro in porta, una noia mortale», dice Sarri. Che calciatori e allenatori ricordino particolari lontani nel tempo non è una novità, ma ogni volta mi sorprende. Sarri ricorda pure il nome del prete di Figline che giocava a calcio con loro: «Don Aldo, che guardavamo con rispetto perché era cugino di Bellugi». Nei giorni che precedono Juve-Napoli molti dicono che vincerà un allenatore toscano (possono anche pareggiare, in verità).
E grazie, Allegri è di Livorno e Sarri è nato a Napoli per caso, perché il padre, gruista ed ex ciclista, lavorava a Bagnoli. Guarda il caso, come il padre di Galeone, indicato a sua volta come padre calcistico di Allegri (e di Gasperini, e di Giampaolo). «Max da giocatore faceva intravvedere un grande futuro da allenatore. Capiva le situazioni in anticipo. È solo a tavola che delude». Come mai? «Mangia poco, due cosine insignificanti. Ed è quasi astemio. Quasi nel senso che un bicchiere gli basta per due ore».
Allegri è toscano di mare e il mare gli piace «perché non si riesce a vederne la fine». Sarri è toscano dell’interno, dove Sting ha comprato una fattoria. Sono molto diversi nell’aspetto e nelle abitudini. Se ti chiamano Massimiliano è facile diventare Max e da Max al conte Max il passo è breve. Allegri nella divisa sociale sembra un milordino, Sarri in tuta uno che fatica ad arrivare a fine mese. Il principe e il povero. In un’intervista a Gq Allegri disse che lui gli allenatori che vanno in panchina in tuta li avrebbe multati, non si fa così quando rappresenti una società. Ma non ce l’aveva con Sarri, non ancora apparso in serie A. Con Guidolin, semmai. «Io faccio l’allenatore di calcio, non l’indossatore», disse Sarri a Empoli. Nemmeno indossa volentieri le sciarpe che quasi ogni domenica invitano a sostenere la ricerca per il cancro o la leucemia o la sclerosi multipla. «In un Paese civile dovrebbe farsene carico lo Stato».
Il nonno di Sarri partigiano, il padre di Allegri scaricatore al porto. «Sui palmi delle mani gli era cresciuta una pelle da coccodrillo». L’apparente principe e l’apparente povero sono di sinistra. Sarri di un rosso più acceso, o meno celato: vedi il “democristiano” che non disse a Mancini ma gli è valso una querela dalla nuova Dc. Allegri meno. Ma è decisamente rossa Livorno, i suoi amici da una vita (Dodo, Bomber, Amerigo, Cresciotto), quelli del caffè del mattino al bar Ughi, quelli dei Bagni Fiume, dell’aperitivo sul lungomare alla Baracchina rossa, del gelato da Adone. Appena può, la domenica sera Allegri saluta Torino e ci torna martedì mattina. Una Livorno che non gli perdona due cose: aver giocato nel Pisa (solo due partite, ma nella città del Vernacoliere basta e avanza) e avere allenato il Milan di Berlusconi. E di Livorno Allegri non sa fare a meno: era e resta uno dei loro, cresciuto al Coteto, quartiere operaio, un ragazzo che di studiare non aveva molta voglia (smise dopo la terza media) ma coi piedi ci sapeva fare, ed era pure assiduo frequentatore dell’ippodromo e puntava sui cavalli. Giocava nell’Armando Picchi. Andò, valutato 4 milioni, a San Croce sull’Arno. Fu rivenduto per 25 milioni al Livorno. Girò parecchio, da calciatore. Era un 10 abbastanza estroso e sfrontato, buon tiro da lontano, buona visione di gioco, non ineccepibile quanto a disciplina : per vis polemica, non per altro. Mai fumata una sigaretta (con Sarri si perde il conto), tantomeno una canna. Mai sorpreso in discoteca a ore inopportune. Sentimentalmente assai vivace.
Così diversi, Allegri e Sarri hanno in comune un soprannome legato alla struttura fisica: Allegri è Acciuga (glielo impose un livornese, Rossano Giampaglia) mentre il Secco è Sarri, che giocava terzino, poi stopper (non leggero nelle entrate, si narra). L’elenco delle squadre in cui ha giocato Allegri è molto lungo: Cuoiopelli, Livorno, Pisa, Pro Livorno, Pavia, Pescara, Cagliari, Perugia, Padova, Napoli, ancora Pescara, Pistoiese, Aglianese. Da allenatore, a 36 anni, Aglianese in C2, poi Spal, Grosseto, Udinese (come collaboratore), Lecco, Sassuolo, Cagliari, Milan, Juventus. Su una panchina di A a 41 anni lo porta Cellino. Ingaggiandolo al Milan, Berlusconi fa un’operazione molto simile a quella di de Laurentiis con Sarri. Delle cui squadre da calciatore poco o nulla si sa. Si sa che fece due provini, quando giocava con la Figlinese, per Fiorentina e Torino. Da allenatore inizia a 31 anni. Eccole: Stia, Faellese, Cavriglia, Antella, Valdema, Tegoleto, Sansovino. È qui decide di lasciare il lavoro in banca (si occupava di cambi, girava l’Europa per il Monte dei Pa- schi) e mantenersi col solo calcio. «Mi ero stancato di stare in ufficio ad aspettare le 17 per potermene andare al campo». Ecco la C2, ci arriva a 44 anni: Sangiovannese, Pescara, Arezzo, Avellino, Verona, Perugia, Grosseto, Alessandria, Sorrento, Empoli che porta in A, Napoli. In A Allegri arriva a 41 anni, Sarri a 55. E in passato non ha solo rose e fiori. «Anche colpa mia. A Perugia e a Verona ho trasmesso pessimismo». Acciuga e il Secco hanno altro in comune: la diffidenza che li ha accolti. Sarà da Napoli? Mi telefonavano gli amici di Ischia, in settembre: con ‘sto Sarri è già tanto se ci salviamo. Maradona calava un carico di suo. Parava la stoccata Sarri, adesso son tutti pappa e ciccia. E Allegri sarà da Milan? Be’, insomma. E dopo lo sturm und drang di Conte: sarà da Juve? E anche dopo lo scudetto, vox populi: che ha fatto di speciale? S’è appoggiato al lavoro di Conte. E ancora nello scorso autunno: visto? Se c’è da costruire non ci capisce nulla. Sabato credo che i due non all’altezza si abbracceranno, forse insultandosi amichevolmente com’è d’uso in terra di Toscana (penso ai pensionati del bar Lume di Malvaldi). Tutt’e due sono in cima al nostro calcio dopo aver più o meno rinunciato ai numeri preferiti: 3-4-1-2 per entrambi. Diventato 3-5-2 a Torino e 4-3-3 a Napoli. Il principe dice che il calcio è programmabile ma non prevedibile. «Spesso ho cambiato in un attimo la formazione che avevo in mente da giorni. Credo nelle intuizioni.
L’ora migliore per averne, le 7.30». Sembra che le intuizioni siano programmabili. Ma ci dev’essere una logica. Un giorno Allegri disse: «Da bambino, mai addormentato ascoltando le favole. Sapendo che erano favole, non ci credevo». Il povero, che a me continua a ricordare Bagnoli anche se si esprime diversamente, non cercate di ancorarlo a un filone di tecnici pane e salame (è una buona forchetta, peraltro). Dicono sia un mago del computer. Non solo sa cos’è un drone ma anche come usarlo negli allenamenti.
Allegri studia inglese da più di un anno, non siate maliziosi, non è detto che c’entri il Chelsea, anche se Galeone pensa che sia quasi tutto già deciso. Allegri continua a chiamarlo mister e a dargli dei lei. Sarri sa già l’inglese e dopo frequentazioni estere da lettore (Bukowski, Fante, Vargas Llosa) da quando è a Napoli, per capire meglio la città, si dedica a Erri De Luca e Maurizio De Giovanni. Che è sempre un bel leggere. Infine, il furioso spogliarello di Allegri a Carpi, quando i suoi se li sarebbe mangiati vivi, è da cinghiale più che da ermellino. Ma abbozzarlo in tuta sarebbe più difficile.