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 2016  febbraio 09 Martedì calendario

Com’erano gli anni Ottanta. Dalla Milano da bere del Ramazzotti, all’elezione di Cicciolina, dal caso della prima baby pensionata alle hot-line. Tutto quasi come oggi

Già nella prima metà degli anni ’70 Pier Paolo Pasolini pensava di vivere in «un paese orribilmente sporco»; era una definizione senza speranze, per certi versi aggravata dal fatto che quello stesso paese gli sembrava anche «privo di mobilità, stagnante». Ora, degli anni ’80 tutto si può pensare, ma non che siano stati all’insegna dell’inerzia o dell’immobilità. È un decennio, anzi è il decennio della grande modernizzazione. Dal bianco e nero, come in tv, l’Italia passa al colore; si attenua il peso delle ideologie, ci si libera del piombo e di parecchi sensi di colpa, si affermano leggerezza e disincanto, arrivano i soldi, e la tecnologia asseconda il passaggio. Tutto bene, dunque. O no?
No, veramente. Senza troppo forzare la suggestiva anticipazione pasoliniana, più si allontana quel tempo, più se ne ricordano le pietre miliari, più si osservano con gli occhi di oggi gli eventi simbolici e le figure rappresentative, e meglio – purtroppo – si comprende il titolo che campeggia sulla copertina della meticolosa ricostruzione di Paolo Morando:
‘ 80. L’inizio della barbarie (Laterza, 231 pagine, 16 euro). E non è per partito preso, né per attitudine gufesca, malumore, snobismo o autolesionismo. Ma perché, come succede nella storia, solo oggi si capisce con nitore che quell’ormai lontana stagione è stata l’incubatrice di quasi tutte le attuali magagne.
Il razzismo, per dire, che non si nasconde più, ma s’è fatto programma politico in jeans e felpa. Ma anche l’esasperato individualismo che ha oscurato la dimensione collettiva e spento ogni partecipazione, con aumento di solitudini e disagio. Oppure l’idolatria del denaro, premessa di ingiustizie, ruberie, corruzione. Per non dire il chiassoso vuoto culturale che a sua volta ha generato conformismo, volgarità e scemenze. Di tutto questo gli anni 80 furono l’aperitivo, o addirittura l’”apericena”, come si legge su qualche insegna al neon.
E forse era inevitabile, o forse è consolatorio. Forse occorre un sovrappiù di memoria e di conoscenza di fronte ai tifosi che mettono a ferro e fuoco le città, alle macchiette che strepitano nei talk show o ai potenti che parlano come i paninari.
Comunque è arrivato il momento di rivedere quando vennero fuori le prime crepe dell’unità nazionale, le prime fratture della coesione sociale, le prime scritte “Forza Etna” sui muri e sui viadotti (1983). Di esaminare col senno di poi la tele-novità costituita da un personaggio come Funari. O collegare certe tendenze giovanili al potere che da allora hanno cominciato ad assumere le merci, i marchi, i consumi.
Così come, dinanzi all’anonima aggressività dei social, può essere utile riscoprire i messaggi che trent’anni orsono intasarono i centralini di Radio radicale; umori e furori che scaricati senza filtri nell’etere rivelarono un’Italia che non solo covava i peggiori sentimenti, ma li esprimeva nel modo più triviale.
Perché tutto cambia, ma pure si ripete; e anche solo il saperlo ricollegandone i fili aiuta più di quanto s’immagini. Anche se l’impressione resta quella – anch’essa pasoliniana – di uno “sviluppo senza progresso” o peggio di una autentica regressione.
È un lavoro denso, questo di Morando, una ricerca instancabile di particolari, uno studio tanto più serio quanto più la materia appare frivola, volatile, a prima vista irrilevante. La documentazione è tratta quasi interamente dai giornali, che assurgono così – era ora! – al rango di compiute fonti storiografiche. Di alcune vicende l’autore segnala, oltre all’impatto di allora, il valore simbolico di oggi; va a cercare i personaggi, li rifà parlare e in tal modo documenta lo scivolamento civile, il senso di una mutazione che ha reso l’Italia irriconoscibile.
Così non si possono ridurre gli anni 80 all’Irpiniagate, al rampantismo craxiano o agli stranguglioni di un Pci allo stremo; come pure pare eccessivo limitarli ai successi di quell’imprenditore milanese che sazio di di fondare città satelliti innovative, si mise in testa di fare i dané con gli spot e si inventò una nuova televisione, non solo a base di culi e tette.
Vero è che le culture politiche erano ormai sul punto di inaridirsi definitivamente, e se pure la Borsa cominciava a distribuire quattrini facili, per giunta a chi neanche se li aspettava, è tutto più complicato: nel decennio saltano distinzioni e generazioni e ogni cosa si mischia e si rivolta.
I testi degli Squallor, il telecomando, l’aumento del debito pubblico, il fumetto Lando (pudicamente l’autore omette il grazioso patronimico: Lo Scassabernarde); e poi ancora la “Milano da bere” del Ramazzotti, gli intrecci di Dallas, l’elezione di Cicciolina, il caso della prima baby pensionata, le copertine di Capital e di Class, lo «schifo» del ministro Visentini per le denunce dei redditi. E ancora, i “vu cumprà”, Il Giudizio Universale di Cuore, le hot-line e il sesso telefonico. Fino all’uccisione di un ragazzo venuto dal Sudafrica, Jerry Masslo, che prima di incontrare la morte a Villa Literno farà in tempo a essere intervistato per ben due volte, ed è lui, proprio lui che intuisce: «C’è proprio che sta accadendo qui in Italia».
“Barbarie” è una parola antica e impegnativa, buttata lì rischia pure l’effettaccio, ma alla fine non è sprecata; e la riprova di questa apocalittica espressione sta nella circostanza che su molte delle storie di quel decennio rivisitate da Morando è calato l’oblio. Nessuno le ricordava più, la mente le aveva oscurate, cancellate; e l’impressione, il dubbio, il sospetto è che dentro lo smottamento che a quel tempo confusamente si percepiva era compresa la fine della memoria, l’impossibilità di saper cogliere la lezione del passato, la speranza stessa di cogliere nella storia anche dei bagliori di futuro.
È strano quanto poco sia rimasto, almeno in superficie, di quell’epoca insieme spensierata e desolata. E quel poco sembra prenderselo tutto la nostalgia, il vintage, un tempo insieme idealizzato e conservato sotto vetro. Canzonette, gelati, merendine, la vittoria della Nazionale ai mondiali, i primi videogiochi, la cinta del Charro, gli spogliarelli in tv, a tarda notte...
In realtà è proprio negli anni ’80 che si andavano allestendo il palcoscenico, le luci, il fondale e la platea per le prove generali di una nuova società senza più ferrigni ideali né orizzonti nazionali, pronta a essere dominata dalla rivoluzione tecnologica.
Dal saggio di Morando si capisce che in pochi lì per lì se ne rendono conto; ma salvo rarissime eccezioni – d’obbligo citare qui un brano di Enzo Forcella sull’immigrazione – quei pochi che comprendono lo spirito del tempo sono anche gli stessi destinati a ottenere successo, ad accumulare miliardi, a conquistare il potere e a tenerselo quel tanto che basta a dannarsi l’anima.
Si dirà: è sempre andata così, e in parte è anche vero. Ma questo non toglie che riandare a quel periodo, osservarlo con la consapevolezza che in quegli anni si formarono i giovani governanti che oggi guidano l’Italia, fa un curioso effetto, mette un filo di ansia o di spaesamento. E anche qui viene da pensare che sarebbe giusto che proprio loro, per la responsabilità che ora gli compete, leggessero, rileggessero o almeno dessero un’occhiata a quelle storie che sono accadute trent’anni fa, quando ogni certezza cominciava a ballare al ritmo della discomusic.
Meglio sapere, peggio ignorare. Che furono d’altra parte anche anni di estrema vitalità, di sacrifici individuali, di scoperte perfino rassicuranti. L’archeologia del passato prossimo è sempre relativa, così come i laboratori del presente serbano spesso le migliori sorprese al futuro, e il pessimismo è quasi sempre giustificato, ma da solo non basta mai e avvizzisce i sentimenti.
«Questo paese non si salverà» si legge in uno degli ultimi discorsi di Aldo Moro. Chissà cosa avrebbe pensato, povero Moro, insieme con Pasolini, di questo periodo così vicino e così lontano. Intanto il tempo scorre e comincia a diventare difficile trovare qualcuno o qualcosa che ricordi cosa accadeva veramente prima di questi benedetti e maledetti, infelici e lietissimi anni ’80.