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 2016  febbraio 09 Martedì calendario

Liu Bo, il quattordicenne comunista che veste Armani

 Liu Bo ha 14 anni e vive a Shenzhen. Fino a pochi giorni fa era un anonimo adolescente cinese, come decine di milioni. Poi una sua fotografia è finita su Internet: nel pieno delle feste per il capodanno lunare, Liu ha scoperto di avere il prodigioso potere di spaccare in due il più popoloso paese del mondo.
Quella sul web non era un’immagine qualsiasi. Liu Bo viene infatti ritratto mentre interviene alla Conferenza consultiva del popolo, la più importante riunione del partito comunista di Shenzhen. Invitato in qualità di rappresentante degli studenti, è stato fotografato sul palco, durante un accorato intervento davanti agli anziani leader rossi, in cui ha chiesto di abolire l’esame che decide la vita di ogni cinese. Liu Bo, con la faccia tosta del ragazzino, ha criticato il test nazionale che ogni anno seleziona gli alunni per l’accesso alle superiori e quelli a cui sarà consentito frequentare l’università, avviandosi alla carriera di colletto bianco.
Un esame spietato, che sconvolge ogni famiglia e causa migliaia di suicidi tra i ragazzi respinti, condannati irreversibilmente a lavori manuali e sottopagati. A dividere la Cina, nelle ore del passaggio dall’anno della “capra” a quello della “scimmia”, non è però la sfrontatezza dell’attacco politico contro uno degli istituti cardine della società, istituito da Deng Xiaoping. Il problema è che il 14enne Liu Bo, per rivolgersi ai papaveri comunisti, ha scelto di indossare un abito firmato “Armani”» e di avvolgersi attorno al collo la sciarpa rossa della lega giovanile del partito. Il suo vestito esibisce il marchio del genio dello stile italiano, sogno non più troppo proibito della maggioranza dei cinesi che riescono ad emergere dalla sopravvivenza. L’effetto, sui social network, è quello di un cortocircuito culturale. Migliaia di internauti sommergono Liu Bo di critiche e di sarcasmo, ribattezzandolo “Ragazzo Armani” ed eleggendolo a icona dei Fuerdai, la “seconda generazione degli arricchiti”, sinonimo di volgarità ed esibizionismo. Sotto accusa anche l’accessorio della sciarpa rossa, imputata di «ridurre la rivoluzione proletaria di Mao Zedong a quella consumista di Giorgio Armani». Qualcuno ha pure postato su Weibo un’immagine
vintage in cui il logo dello stilista italiano appare cucito sulla bandiera rossa maoista. «Non puoi più definirti un vero comunista – ha scritto un altro – se non vesti Armani Junior».
L’ondata di sdegno è tale che la madre di Liu Bo è stata costretta a giustificare il figlio, assicurando che l’abito incriminato è un regalo ricevuto dall’organizzatore di un concerto. Caso chiuso? Al contrario: sulla Rete si moltiplicano le foto dell’adolescente sempre e ovunque vestito Armani, come se la moda occidentale rischiasse di trasformarsi nella nuova divisa dei “piccoli imperatori”, la viziata generazione dei figli unici venuti al mondo nel pieno del boom della crescita di Pechino. I detrattori chiedono ironicamente che il partito-Stato doti tutti gli studenti cinesi di divise firmate dai più ammirati stilisti europei. Si ingrossa però anche il fronte dei sostenitori, che esaltano la conquista della “libertà del guardaroba”, ricordando l’incubo delle divise maoista imposte dalle guardie rosse durante la Rivoluzione culturale. Il “Ragazzo Armani” del Dragone, più forte della censura che filtra il web, diventa così zimbello ed eroe, star di un confronto senza precedenti: la sua pagina Weibo conta 20 mila follower e si scopre che Liu Bo è pure un bambino prodigio, attore e cantante, ma soprattutto stella del Family Show, trasmissione imperdibile della tivù del Guangdong.
Il muro pronto a cadere è quello che in Cina ancora separa la voglia di moda, di lusso e di benessere dal patriottismo, dalla disciplina di partito e dalla frugalità confuciana. I cinesi si chiedono se è possibile restare buoni compagni comunisti e allo stesso tempo trasformarsi in eleganti consumatori capitalisti, vecchi custodi della civiltà asiatica e contemporaneamente giovani promotori del gusto occidentale.