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 2016  febbraio 09 Martedì calendario

Presto i robot sostituiranno orologiai, cassieri e bancari ma anche arbitri di calcio. Ecco la lista dei lavori da evitare

Il miglior amico dell’uomo? È ancora il cane. Di fronte all’inarrestabile ascesa della quarta rivoluzione industriale (informatica più intelligenza artificiale) economisti e analisti finanziari – alla McKinsey piuttosto che all’Ubs, alla Bank of America e, certamente, a Davos – hanno tentato di accreditare la tesi che, magari non subito ma almeno a lungo termine, tutti abbiamo da guadagnare dall’invasione dei robot in fabbriche e uffici. Sono in tanti però a far fatica a crederci. Fatevelo raccontare da Hitchbot, un robot messo insieme alla meglio, una sorta di E.T. con gli ingranaggi, che avrebbe dovuto attraversare l’America in autostop, ma si è fermato dopo appena 500 chilometri. Un killer di automi l’ha sequestrato, decapitato e smembrato. La Technology Review racconta di assalti contro i robot inseriti negli ospedali e sabotati dai colleghi umani: aggrediti con le mazze da baseball, accecati, dirottati, o semplicemente usati il meno possibile.
In realtà, i robot sono solo la punta dell’iceberg. I veri protagonisti della terza e della quarta rivoluzione industriale, che stanno sconvolgendo il mondo del lavoro, sono immateriali come i programmi di software, difficili da prendere a mazzate. Quello che governa il lettore ottico che ha sostituito il poliziotto al controllo passaporti, quello che, al posto del cassiere, distribuisce i soldi del Bancomat, dopo aver verificato il vostro Pin, quello che ha cancellato il viso sorridente della hostess all’aeroporto e fa sputare la vostra carta d’imbarco dalla feritoia di una macchinetta. L’invasione, insomma, c’è già stata e sta per diventare una valanga. A Davos si è calcolato che, entro il 2020 nelle quindici maggiori economie mondiali l’automazione taglierà 5 milioni di posti di lavoro. Altro che ripresa. A seguire, sarà peggio: la Banca di Inghilterra valuta che, entro dieci-vent’anni, si volatizzeranno nell’isola 15 milioni di posti. In pratica, saranno dimezzati. Del resto, negli Stati Uniti, una grande società di consulenza come la McKinsey calcola che il 45 per cento delle attività lavorative esistenti siano computerizzabili, già con le tecnologie attuali. Se migliora la capacità di comprensione linguistica dei software, potete aggiungerci un altro 13 per cento. Si sfiora il 60: si salva un posto di lavoro su tre.
Appunto. Quale? Di fronte allo tsunami al rallentatore che sta investendo la società, nessuno è in grado di dire come ne usciremo. Al massimo, gli economisti assicurano che, come in passato, ci inventeremo nuovi lavori che oggi non immaginiamo. Ma qualche traccia più ampia, sul futuro, esiste. E consente di dire, in due parole, che se vostro figlio non ha la stoffa dell’amministratore delegato, è bene che si convinca a fare il giardiniere. La distinzione fondamentale, infatti, non è fra lavori qualificati e ben pagati e quelli che non lo sono, ma fra lavori di routine (in cui i compiti sono standardizzabili e ripetibili) e quelli che non lo sono. La Federal Reserve di St. Louis registra che, dagli anni ’80, in America i posti di lavoro legati alla routine, manuale o intellettuale, sono più o meno rimasti uguali, in numero assoluto: circa 60 milioni. Al contrario, i lavori non di routine – manuali o intellettuali – sono raddoppiati: da 40 a 80 milioni.
A fare esempi concreti sono due ricercatori dell’Università di Oxford – Carl Frey e Michael Osborne – che hanno riesaminato, alla luce della facilità con cui possono essere computerizzate, le oltre 700 professioni censite dalle statistiche. Non tutte le definizioni burocratiche sono trasparenti, ma la professione che i computer possono più facilmente mangiarsi è il telemarketing, dove le voci registrate vi inseguono già oggi fino a casa. Poi viene una attività facilmente automatizzabile come la riparazione di orologi, ma nei primi 30-40 lavori da evitare ci sono in genere quelli legati alle fasi più semplici dei servizi amministrativi, come le verifiche formali allo sportello bancario o in un’agenzia immobiliare. Fra i prevedibili applausi del grosso della stampa sportiva e dei fautori delle moviole elettroniche, un lavoro che un computer può agevolmente svolgere da subito, secondo i ricercatori di Oxford, è l’arbitro di calcio, con annesso guardalinee. Dal lato opposto, i lavori più impermeabili all’invasione di robot e software sono quelli legati alla professione medica, ma anche alla scuola o più direttamente creativi, come designer e coreografi. Anche un prete è difficile da immaginare nelle vesti robot. E non basta l’informatica a decidere quale dieta o quale programma sportivo dovreste seguire. Il più impervio alla quarta rivoluzione industriale risulta però essere il “terapista ricreativo”, che non si fa fatica a immaginare come maestro di tango.
«No, il casqué va fatto con più convinzione», sembrerebbe dunque essere la frase-salvacondotto che ci può felicemente condurre al di là della quarta rivoluzione industriale. Ma, in realtà, questa visione statica rischia di fornire una immagine distorta del futuro del mondo del lavoro, sostengono alla McKinsey. La verità è che solo il 5 per cento delle professioni può essere interamente automatizzato. Ma, in ogni professione, esistono mansioni e attività che possono esserlo. Vale anche per un amministratore delegato, categoria che i consulenti McKinsey conoscono assai bene. Circa il 20 per cento di quello che fa il superboss è computerizzabile, dicono, anche se ben pochi interessati sottoscriverebbero. Spesso l’analisi dei rapporti e l’assegnazione delle missioni sono pura routine. In media, nel 60 per cento delle professioni il 30 per cento può essere affidato al computer. Vale per tutti, compresi dottori, chirurghi, designer, arredatori e dietologi. È una visione meno cupa, di collaborazione fra uomo e computer, che, in realtà, libera il lavoro. Immaginate un pronto soccorso in cui le suture alle ferite le fa un robot- infermiere, mentre i medici si dedicano ai casi gravi. O una banca in cui l’addetto ai mutui si concentra sul vostro caso personale, invece di farsi sommergere dai moduli.
Il problema, anche nella versione McKinsey, è di numeri. Prima, accanto al bancario che adesso si occupa del vostro mutuo, ce n’erano altri quattro con cui divideva la compilazione dei moduli. Adesso, cosa fanno gli altri quattro? Tutti tangueros?