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 2016  febbraio 09 Martedì calendario

Giulio Regeni è stato ucciso in un posto diverso da dove è stato ritrovato. L’autopsia dice che il corpo straziato non è stato trascinato

Giulio Regeni è stato ucciso in un posto diverso da dove è stato ritrovato. E il suo cadavere è stato scaricato, probabilmente poco prima rispetto al suo ritrovamento, da almeno due persone. Non ci sono infatti segni di trascinamento né il corpo era particolarmente sporco di terra o di detriti vari.È questa una delle prime certezze alle quali sono arrivati i medici legali dopo l’autopsia. Certezza che sgombra definitivamente il campo da tutta una serie di ipotesi fantasiosi circolate nelle prime ore: quella, inverosimile sin dal principio, dell’incidente stradale. Ma anche l’idea che Giulio potesse essere stato vittima di qualche balordo. Chi lo ha ucciso ha voluto improvvisamente sbarazzarsi del cadavere, con un lavoro da professionista. E poco dopo ha fatto ritrovare il suo corpo: appare poco probabile, infatti, l’ipotesi accreditata ieri dal governo egiziano che a lanciare l’allarme sia stato casualmente un tassista.«Non è stata la polizia. E il ragazzo non era mai stato arrestato» ha detto, ieri, piccato, il ministro degli Interni egiziano. E il lavoro fin qui svolto dagli italiani non sembra andare troppo lontano da questa verità: Giulio, questo è il sospetto, potrebbe essere finito in un rastrellamento da parte di squadracce che girano per il Cairo e che, proprio nell’anniversario delle manifestazioni di piazza Tahrir, abbiano voluto colpire alcuni gruppi. Il suo essere occidentale, che conosceva l’arabo, ricercatore ma anche collaboratore di un giornale, può aver spinto i suoi sequestratori a pensare che fosse una spia. E a torturarlo per fargli ammettere quello che non poteva: Giulio era uno scienziato che aveva scelto di vivere osservando il mondo. Non certo un collaboratore di polizie straniere.I particolari che emergono dall’autopsia sono agghiaccianti. Giulio è stato torturato: ci sono segni anche di bastonate sotto i piedi, ha l’omero e il gomito fratturato. E l’idea che tutto questo sia accaduto perché non ha voluto confessare le sue fonti sindacali non regge. Non fosse altro perché l’incontro a cui aveva partecipato, e di cui aveva dato conto in un articolo su un giornale on line inviato anche a Il Manifesto, era pubblico.«L’ho visto arrivare all’1,30 della mattina in ospedale» racconta uno dei medici che lo ha visto per primo. «Abbiamo pianto: come lo hanno ridotto, come? Ci siamo chiesti con i colleghi prima che arrivassero gli uomini dell’ambasciata italiana». Oggi arriveranno sul tavolo degli investigatori italiani alcuni frame di telecamere e tabulati telefonici. Dagli interrogatori di queste ore emerge, e anche dall’analisi per esempio delle chat trovate sul computer di Giulio, che il ragazzo non avesse paura. Chiedeva di pubblicare i pezzi con uno pseudonimo proprio per non creare equivoci con il suo ruolo di ricercatore. Prevedeva di partire a marzo ma mai aveva dato segnali di aver percepito di essere a rischio. «Eppure questo è un paese che ha tanta paura» dice il sindacato degli Avvocati egiziani, con i legali che non si stupiscono affatto di quello che è successo a Giulio. Da mesi segnalano le torture subite nelle carceri ufficiali e non. E denunciano gli arresti proprio degli avvocati che vengono intimoriti affinché non difendano le famiglie dei desaparecidos. A legali ma anche a reporter come la freelance, Esraa El Taweel, scomparsa per due settimane e poi riapparsa in una prigione, vengono contestate violenze o la diffusione d notizie false. «Tutti reati creati ad arte per farci paura» dicono i legali. Un anno fa un avvocato fu torturato e ucciso in una prigione egiziana: morì dopo due giorni di botte. I suoi aguzzini, a dicembre, sono stati condannati a 5 anni di prigione. L’avvocato si chiamava Karim Hamdy, aveva 27 anni, un anno meno di Giulio.