la Repubblica, 9 febbraio 2016
Abbiamo nostalgia per Gheddafi e Saddam, simpatia per il regime militare egiziano, comprensione per Assad. Le conseguenze sbagliate dell’Isis
Ma davvero i bombardamenti russi in Siria (nel mirino ufficiale l’Is, in quello ufficioso gli oppositori di Assad) sono così impopolari, in Occidente, quanto si potrebbe credere ascoltando la Merkel che chiacchiera con Erdogan? Mano a mano che l’orrore islamista avanza, l’impressione è che si rafforzi, nei confronti dei Paesi arabi, un sentimento molto sbrigativo: nostalgia per Gheddafi e Saddam, simpatia per il regime militare egiziano, comprensione per Assad, nell’implicita convinzione che quei Paesi e quei popoli siano incapaci di darsi un ordine diverso da quello che solo una dittatura può garantire. L’eroica eccezione della Tunisia non sembra bastare a dare una chance alla democrazia a Sud e a Est del Mediterraneo. Mi chiedo, se fossi egiziano o siriano o iracheno o algerino, e sperassi in un futuro decente per me e per il mio Paese, come vivrei questa fase di ripiegamento cinico di molti Paesi occidentali, che per loro maggiore comodità e sicurezza preferirebbero (e lo nascondono a stento) che il mondo arabo, in funzione anti-Is, restasse o tornasse nelle mani delle vecchie satrapie monarchiche o militari. O sotto un regime o in balia del jihadismo? Ma se davvero è questa la sola scelta possibile, come evitare che milioni di persone, specie i giovani, sognino di fuggire da quella tenaglia e di unirsi alla marea dei migranti? Che alternativa hanno? Morire per Allah o morire per Assad? E vivere, invece, è un’opzione esagerata, per un arabo?