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 2016  febbraio 09 Martedì calendario

Breve analisi del declino granata

Da artefice ad artificiere. Mai e poi mai Giampiero Ventura avrebbe pensato di finire così nell’arco di pochi mesi, costretto a disinnescare la bomba di un Toro da lui costruito, ma ora a forte rischio d’esplosione. La situazione è delicata in una squadra che viaggia a ritmo da retrocessione (7 punti nelle ultime 10 giornate: solo il Frosinone ha fatto peggio con 5) e soprattutto sembra aver perso tutte le proprie certezze. A partire da quelle di un allenatore che era riuscito a riportare il Toro in Europa e a fargli vincere il derby dopo vent’anni, ma adesso viene contestato da un intero stadio e sembra aver perso la bussola.

348 giorni fa

Nella parabola discendente di Ventura, che solo 348 giorni fa toccava la gloria nella notte del San Mames contro l’Athletic Bilbao, spiccano tutti i problemi di un Torino che non è riuscito ad alzare la propria asticella e ha perso tutto il suo patrimonio d’entusiasmo e gioco. Paradossalmente la squadra che ha perso contro il Carpi nella notte in cui poteva tornare in vetta alla A dopo 37 anni, si è fatta umiliare dalla Juve in Coppa Italia ed è crollata in casa contro il Chievo, è la stessa che un anno fa era protagonista in coppa e in campionato. Il modulo 3-5-2 è identico, mentre le partenze di Darmian ed El Kaddouri (più quella invernale di Quagliarella) sono state superate con l’arrivo di giovani talenti in estate (Baselli, Belotti, Zappacosta) e il ritorno a gennaio di Immobile.
Squadra seduta
Qualcosa, però, non ha funzionato: gli ultimi arrivati hanno faticato ad integrarsi o hanno pagato l’ambientamento, anche perché è venuto a mancare il fondamentale supporto della vecchia guardia. Lo zoccolo duro dello spogliatoio paga l’anno in più, che pesa in campo (Vives va verso i 36 anni, mentre Moretti ne farà 35) e ha reso tutto più complicato rispetto alle ultime stagioni. Il resto l’ha fatto l’inconscio senso di appagamento derivato dalla pioggia di rinnovi a metà campionato (a partire da quello dell’allenatore fino al 2018) senza che fossero stati raggiunti obiettivi specifici. Se il Toro si è seduto, una delle cause sta proprio nell’aver accontentato tutti i senatori e chi aveva mercato. Cairo probabilmente sperava in altri tipi di effetti, capaci anche di contrastare il clima poco allegro e il senso di routine che da tempo si respira nello spogliatoio. I timidi tentativi di provare un nuovo tipo di gioco, però, si scontrano con l’impostazione rigida del 3-5-2 e l’assenza di giocatori «diversi». Come un vero regista, tipo Valdifiori, che da tempo manca nel Toro. Qualcosa cambierà in attacco, anche per non trasformare Immobile in un trequartista, ma prima c’è da risolvere la crisi mentale che ha colpito la squadra. Il nervosismo è sempre più evidente, così come la latitanza nel prendersi le responsabilità. Domenica, sotto i fischi e gli insulti, solo 5-6 giocatori si sono fermati in campo per scusarsi con i tifosi, mentre sono mancate le parole e i gesti del capitano. Che Glik non stia vivendo un gran momento è evidente, ma questa scollatura è un problema in più per il Toro.