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 2016  febbraio 09 Martedì calendario

La storia del cattivo del Web, che cercava ragazzini nudi per guardali, guarito grazie al suo arresto

Eccolo, il cattivo del Web. Arriva trafelato, sotto la pioggia battente. Tuta da ginnastica nera, sguardo basso. Si presenta e non perde tempo perché non ne ha, deve lavorare anche se è domenica. Deve far stare in poco più di un’ora la sua storia di pedopornografo e cyber adescatore pentito, quindi va dritto al punto. «Mi chiamo Roberto, ho 42 anni» attacca. «Un giorno di settembre del 2010 la Polizia postale venne a prendermi... avevano scoperto tutto».
Tutto. Cioè i file pedopornografici sul suo computer (video e fotografie) e il suo tentativo di adescare un minorenne via Internet. «Sempre e soltanto a livello virtuale» precisa lui, «perché, nonostante lo scambio di chat e messaggi, all’appuntamento vero e al contatto fisico non ci sono mai arrivato, per fortuna. Mi sono fermato prima, mi ha fermato il pensiero del ragazzino che sono stato e di quello che ho passato...». Pausa e sospiro: «...perché tutta questa storia», riprende Roberto, «in realtà è cominciata tanti anni fa, quando sono stato abusato due volte da un vicino di casa. Avevo 14 anni. Quegli episodi hanno azzerato in me gli interessi per qualunque tipo di relazione fisica, per molto tempo. E poi è finita che ho sviluppato curiosità e pulsioni per la categoria, diciamo così, della quale ho fatto parte io stesso come vittima: i ragazzini minorenni».
È passato molto tempo dai suoi 14 anni. Roberto – che non si è mai allontanato dalla città del nord Italia dove adesso ha una sua attività – da adulto si è ritrovato davanti a un computer e ha seguito o suoi istinti, cioè la ricerca di minorenni. Un’immagine, un’altra, un’altra ancora e un bel po’ di video. Alla fine il tentativo di adescare uno dei suoi interlocutori (anche se poi l’appuntamento non c’è stato) fu intercettato dalla Polizia postale.
«Ho sbagliato, me lo sono ripetuto un milione di volte» ammette lui. «Il giorno dell’arresto per me e per la mia famiglia è stato devastante. Ricordo le loro facce... una bomba, ma per me anche una liberazione. Ho fatto tre mesi di carcere e tre ai domiciliari, ho patteggiato la condanna a dieci mesi, ho scontato la pena e mi sono detto: mai più. Volevo uscirne, nonostante tutto».
Così chiese aiuto al presidio criminologico territoriale del Comune di Milano. Tre anni di incontri guidati, mesi e mesi di introspezione a cercare una via di fuga dall’uomo che era diventato. «Grazie a loro ce l’ho fatta davvero e oggi mi sento in debito con la società perché, pur non avendo fatto del male direttamente a qualcuno, so che ho commesso errori gravi. La società con me è stata tutto sommato magnanima e oggi, se potessi, vorrei essere utile a qualcuno che si può ritrovare in una delle persone che sono stato io: vittima, carnefice o anche potenziale carnefice. Per questo non ho difficoltà a parlare del mio passato, so che ci sono persone, là fuori, a cui può servire sapere che esiste il modo per provare a rimediare ai propri errori. E ci sono ragazzini che, come feci io, tacciono. A quei ragazzini vorrei dire invece che parlarne e chiedere aiuto è la sola cosa giusta da fare».