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 2016  febbraio 08 Lunedì calendario

Addio ai banchieri politici. Senza curriculum adeguato non si entra nei cda. Lo ha deciso Draghi

Il banchiere John Pierpont Morgan amava ripetere che “Generalmente una persona ha due ragioni per fare una cosa. Una delle due sembra quella vera, e l’altra lo è”. Parole che valgono anche per Mario Draghi, il presidente della Bce che sta cambiando senza squilli il dna dei banchieri italiani.
Al timone avremo sempre più i Carlo Messina (ad Intesa), i Victor Massiah (ad Ubi Banca) e i Giuseppe Castagna (ad Bpm), mentre i presidentissimi e i vice presidentissimi torneranno al loro posto. Scompariranno, nel bene e nel male, i Giovanni Bazoli (Intesa), i Giuseppe Guzzetti (Fondazione Cariplo), i Gianni Zonin (ex Popolare di Vicenza), i Luca Cordero di Montezemolo (Unicredit), i Fabrizio Palenzona (Unicredit) e i Luigi Abete (Bnl-Paribas). Tutta gente dal curriculum molto “politico”, abituata a comandare sulle rispettive banche ben oltre le deleghe formali, ma che nella nuova era, in cui conti solo se hai i titoli formali per parlare con la Bce e con Mario Draghi, si troverà in fuorigioco.
Lo strumento decisivo di questo cambio di regime è una direttiva Ue che in gergo bancario ha un nome da suv coreano, CRD IV. Si tratta della numero 36 del 2013 in tema di corporate governance, “recepita” e ampliata da Via Nazionale con la circolare 285 del 17 dicembre 2013.
La CRD IV prevede che “nel nominare i membri dell’organo di gestione, gli azionisti o i soci di un ente dovrebbero valutare se il candidato disponga delle conoscenze, delle qualifiche e delle competenze necessarie per garantire una corretta e prudente gestione dell’ente” (articolo 59). Bankitalia completa il concetto così: i consiglieri devono essere “dotati di professionalità adeguate al ruolo da ricoprire, anche in eventuali comitati interni al consiglio, e calibrate in relazione alle caratteristiche operative e dimensionali della banca (sezione IV, articolo 1).
Il punto chiave delle nuove norme è che ora l’Europa non si limita a chiedere generici requisiti di “onorabilità e professionalità”, ma pretende persone di provata competenza bancaria e finanziaria. Insomma, d’ora in poi, per i grandi fondi stranieri come per le fondazioni, piazzare nei cda personaggi alla Giuseppe Mussari, l’ex presidente del Monte dei Paschi di Siena che di professione faceva il penalista ed è finito sotto processo per aver quasi distrutto la banca che gli avevano affidato, sarà sostanzialmente impossibile.
E ora veniamo ai casi concreti. Il presidente di Intesa, l’avvocato bresciano Giovanni Bazoli, è al passo d’addio dopo una carriera quarantennale. Ha sempre avuto un potere enormemente superiore alle deleghe: per fare qualche esempio sparso si è “mangiato” due ad come Corrado Passera ed Enrico Cucchiani e nomina da anni il direttore del Corriere della Sera, dopo aver sempre in qualche modo concorso alla scelta del leader del centrosinistra. Per la sua successione, ad aprile, vorrebbe l’ex ministro Fabrizio Saccomanni, ex dg anche di Bankitalia e legatissimo a Draghi. Un motivo, quest’ultimo, per cui il management della banca guidato da Messina preferirebbe Gian Maria Gros Pietro, che il rapporto diretto con il capo della Bce non ce l’ha.
In Unicredit, il capo azienda è un traballante Federico Ghizzoni. Il presidente “di campanello” è Enrico Vita, solido curriculum assicurativo, ma i due vicepresidenti che contano sono Luca Cordero di Montezemolo e Fabrizio Palenzona. L’ex presidente della Ferrari, indicato dai soci arabi, almeno non si atteggia a banchiere, ma non ne ha minimamente il curriculum. Il secondo, detto “il camionista” perché proviene dal mondo dell’autotrasporto, è un ex amministratore locale della Dc alessandrina che ha scalato il mondo della finanza venendo dalle autostrade e dagli aeroporti, dei quali è sommo lobbista.
Al Banco Popolare, prossimo sposo della Bpm, c’è da anni un presidente come il conte Carlo Fratta Pasini, avvocato e proprietario terriero, padre-padrone della componente veronese. Non è un caso che il presidente del comitato esecutivo della nuova entità sarà Pier Francesco Saviotti, attuale ad del Banco e banchiere di solido curriculum: una scelta che è stata informalmente imposta da Francoforte e che Fratta Pasini ha accettato di buon grado.
Nella francese Bnl Paribas, alla presidenza, c’è un’altra figura mitologica, e tipicamente italiana, come Luigi Abete, imprenditore grafico, vip romano della Prima e della Seconda Repubblica. Anche lui, come Bazoli e Guzzetti (che addirittura comanda “schermato”da una fondazione, la Cariplo), nella “sua” banca conta infinitamente più di quanto dicano le aride carte del cda e dello statuto.
Se passiamo alle banche che negli ultimi tempi hanno avuto gravi problemi, la questione dei curriculum e delle deleghe “occulte” è ancora più eclatante. Nell’ormai famosa Popolare Etruria, l’ex presidente Lorenzo Rosi era il boss di una coop rossa e il suo vice Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena, un civilista di provincia. Al Banco Desio, di proprietà della famiglia Gavazzi (ramo tessile), il presidente Agostino Gavazzi è sopravvissuto alle inchieste giudiziarie cacciando il management.
In Veneto Banca, altro muro del pianto creditizio edificato con un certo metodo da Vincenzo Consoli, il Fiorani di Montebelluna, si erano succeduti alla presidenza il viticoltore Pier Luigi Bolla e Francesco Favotto, professore di economia.
In Pop Vicenza, ha regnato per un ventennio un altro produttore di vino come Gianni Zonin, uscito di scena solo nei giorni scorsi, dopo che la “sua” banca scricchiolava da tempo. Con la rivoluzione della governance bancaria voluta da Draghi, molti di questi personaggi, verranno spazzati via. E non saranno più possibili scene come quelle del processo Parmalat, in cui gli avvocati di Cesare Geronzi, ex presidente di Capitalia, arrivarono a dire che il loro assistito era innocente “perché non aveva deleghe”. Già, ma quando uno percepisce emolumenti milionari come se fosse l’amministratore delegato è un po’ difficile da raccontare. Almeno alla Bce non se la bevono.