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 2016  febbraio 08 Lunedì calendario

Le schiave dell’utero in affitto. Un mercato da due miliardi

Il primo Family Day venne organizzato nel 2007 contro i DICO, un disegno di legge che introduceva una serie molto limitata di diritti per le coppie di fatto. Il cardinal Angelo Bagnasco, all’epoca presidente della Cei, disse che approvare i DICO avrebbe rischiato di aprire la strada alla legalizzazione dell’incesto e della pedofilia. Nove anni dopo le cose sono molto cambiate e persino i vertici della chiesa hanno riconosciuto che è arrivato il momento di garantire alcuni diritti anche alle coppie di fatto, comprese quelle dello stesso sesso.
Oggi, con ogni probabilità, gli organizzatori del secondo Family Day, che si è svolto a Roma, sabato 30 gennaio, scambierebbero volentieri i vecchi DICO in cambio dello stop al Ddl Cirinnà, il testo votato in Senato che garantisce una serie molto più ampia di diritti e doveri alle coppie di fatto. I DICO, in particolare, non contenevano la norma che nelle ultime settimane è divenuta il vero oggetto del contendere tra favorevoli e contrari alle unioni civili: la “stepchild adoption” che, secondo le critiche, aprirebbe la strada alla maternità surrogata.
La “stepchild adoption”, o adozione del figliastro, cioè la possibilità per un partner di adottare il figlio biologico del proprio compagno, è legale in Italia, ma soltanto per le coppie sposate. Con il Ddl Cirinnà lo diventerebbe anche per le coppie di fatto, comprese quelle composte da persone dello stesso sesso. Secondo i critici della norma, però, così facendo si renderà molto più semplice una pratica oggi illegale in Italia, ma in pratica consentita se compiuta all’estero: la maternità surrogata, il procedimento per cui una donna terza rispetto alla coppia porta avanti la gestazione di un bambino fino al parto, spesso in cambio di denaro.
La maternità surrogata è vietata o fortemente limitata in Italia e in quasi tutta Europa, con l’eccezione di Regno Unito e Grecia dove è concessa a condizioni molto severe (ad esempio non possono avvenire scambi di denaro tranne che per rimborsare le spese sostenute dalla “portatrice”). Nonostante il divieto, la giurisprudenza europea è quasi tutta andata nella direzione di non perseguire chi ottiene un bambino all’estero con questa tecnica e di permettergli di diventarne legalmente il genitore, anche se con difficoltà burocratiche più o meno grandi a seconda del paese di provenienza. In Italia, come in Germania, questo procedimento è avvenuto per via di sentenze di tribunali, piuttosto che grazie all’intervento legislatore. In un caso considerato storico, nel gennaio del 2015, l’Italia è stata costretta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a riconoscere come genitori una coppia sterile che aveva ottenuto un figlio utilizzando in Russia una madre surrogata.
AGGIRARE LA LEGGE
Di fatto quindi, ricorrere alla maternità surrogata è già possibile aggirando la legge e recandosi all’estero. Possono farlo tanto alle coppie eterosessuali quanto a quelle omosessuali. Come abbiamo visto, per le coppie eterosessuali è possibile, anche se a volte complicato, ottenere per entrambi i partner lo status di genitore del figlio ottenuto con la maternità surrogata, mentre per le coppie omosessuali, invece, l’attuale legge consente soltanto ad uno dei partner questo riconoscimento. Se il Ddl Cirinnà dovesse essere approvato, il secondo genitore potrà chiedere al tribunale dei minori di vedersi riconosciuto lo status di genitori adottivo grazie alla stepchild adoption. Non esistono molte statistiche ufficiali sul fenomeno della surrogazione di maternità, ma soltanto cifre indicative. Nel Regno Unito, uno dei paesi più aperti anche culturalmente nei confronti della maternità surrogata, nel 2013 137 coppie hanno ottenuto figli grazie alla maternità surrogata effettuata in patria o all’estero. L’India è il paese dove questa pratica è più diffusa, grazie alla combinazione di una popolazione numerosa e spesso molto povera con una sistema sanitario avanzato e numerose competenze mediche di alto livello. Nel 2015 il governo indiano ha stimato che ogni anno nel paese vengano fatti nascere circa 5 mila bambini tramite questa pratica. L’industria che ci gira attorno vale circa 2 miliardi di euro.
PREZZI COMPETITIVI
Oltre all’India, Ucraina, Georgia e Stati Uniti sono mete popolari per portare avanti una maternità surrogata, ma l’India rimane la meta favorita, sopratutto grazie ai suoi prezzi molto competitivi. Una maternità surrogata in India può costare tra i 20 e i 30 mila euro, di cui circa 10 mila vengono assegnati alla portatrice. Le donne indiane che si offrono volontarie in genere provengono dalle campagna e lavorano in città come domestiche, guadagnando all’incirca 50 euro al mese. Le cliniche migliori e più costose spesso offrono alle portatrici anche corsi di lingua e di computer. I critici della stepchild adoption, ma anche molte associazioni femministe, accusano in particolare questo aspetto, sostenendo che le donne indiane e degli altri paesi in via di sviluppo che consentono questa pratica, sono costrette a prestarsi alla surrogazione a causa della loro disperata situazione economica. La stampa anglosassone, e quella britannica in particolare, si sono occupate a lungo del fenomeno, anche perché nel Regno Unito la surrogazione di maternità è una pratica con oramai più di dieci anni di storia. Le inchieste hanno dimostrato che le donne indiane che si offrono per questa pratica vivono in situazioni molto diverse le une dalle altre. Alcune hanno raccontato di essere state costrette dai mariti ad accettare la surrogazione, mentre altre dicono di averlo fatto per pagare l’istruzione dei propri figli e che dopo una prima gravidanza sono già disposte ad affrontarne una seconda. Diverse associazioni indiane per la difesa delle donne sostengono che in alcune cliniche i diritti delle portatrici non siano garantiti in caso di insuccesso della gravidanza. L’India non ha una legge che regoli la maternità surrogata e l’industria fino ad ora è cresciuta seguendo le linee guida in materia prodotte dal ministero della Sanità. Negli ultimi anni però, un movimento locale ostile alla pratica è cresciuto ed è diventato sempre più forte. Oggi in Parlamento è in attesa di approvazione una proposta di legge per proibire la surrogazione di maternità. Le motivazioni non sono molto diverse da quelle che si sentono in Italia: la pratica, sostengono i suoi oppositori, è un modo di sfruttare giovane in ragazze in difficili situazioni economiche. Nell’attesa dell’approvazione della legge, il governo indiano ha comunicato a tutte le cliniche del paese di sospendere le procedure di maternità surrogata per cittadini stranieri. In Italia, secondo la ricerca Modi-di, condotta nel 2005 da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche con più di 40 anni ha un figlio. In tutto, un omosessuale ogni 20 ha un figlio. Da questa stima, alcuni hanno dedotto che in Italia ci sono circa 100 mila figli di omosessuali. Con ogni probabilità si tratta soprattutto di figli di coppie separate, molti dei quali probabilmente vicini o oltre la maggiore età. È un dato, quindi, poco utile a capire quante siano in realtà le famiglie in cui entrambi i genitori appartengono allo stesso sesso, includendo sia quelle che hanno ottenuto un figlio all’estero, sia quelle che stanno crescendo il figlio di una precedente relazione di uno dei due partner. Un’idea più precisa la fornisce il censimento ISTAT del 2011, in cui 529 coppie “dello stesso sesso” hanno dichiarato di avere figli. Secondo diverse associazione gay, però, questa cifra sottostima la diffusione del fenomeno.