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 2016  febbraio 08 Lunedì calendario

Scardinare le vecchie certezze per fare un balzo nell’età moderna. Per il mercato finanziario italiano è l’ora della svolta

I BoT hanno tassi d’interesse sotto zero. Le obbligazioni bancarie, quelle che per decenni hanno costituito un’importante forma di investimento delle famiglie italiane, sono improvvisamente diventate rischiose con la normativa del bail-in. Le banche ormai non erogano più credito alle imprese come un tempo. È evidente che gli imprenditori e i risparmiatori italiani, per per decenni illusi dalle offerte delle banche e coccolati dai titoli di Stato, negli ultimi anni abbiano perso i loro punti di riferimento. Ma non è detto che questo sia negativo. Anzi: scardinare le vecchie certezze potrebbe aiutare il mercato finanziario italiano, un piccolo mondo antico ormai fuori dai tempi, a fare un balzo nell’era moderna.
In Italia ci sono infatti due “tesori” da preservare. Il primo è rappresentato dalla ricchezza delle famiglie che, sebbene mal distribuita, ammonta tutt’ora a quasi 4mila miliardi di euro escludendo gli immobili. Il secondo è il tessuto imprenditoriale che, nonostante le fragilità del sistema, ha fatto grande il «made in Italy». Il problema è che questi due “tesori” si trovano in un Paese che ha una cultura finanziaria da terzo mondo: secondo una ricerca di S&P, in questo campo l’Italia è più arretrata di Tanzania, Zimbabwe o Senegal. La scarsa alfabetizzazione ha sempre impedito al mercato finanziario italiano di svilupparsi: questo ha reso le imprese troppo dipendenti dal credito bancario e il risparmio ostaggio delle politiche commerciali delle banche stesse. Ma la crisi di oggi può essere l’occasione per svoltare.
 I segnali che qualcosa stia cambiando già si vedono. Sta per esempio pian piano iniziando a mutare l’atteggiamento dei risparmiatori. Sebbene mantengano l’approccio di fondo dei vecchi “BoT-people” (il sondaggio Ipsos che presentiamo in questa pagina dimostra che la maggioranza degli italiani cerca sicurezza), per la prima volta le famiglie stanno prendendo la consapevolezza che il fai-da-te non paga. Che bisogna diversificare gli investimenti. Che non esiste nulla di sicuro al 100% (neppure gli Stati e le banche lo sono). Che bisogna informarsi. Che le banche possono essere in conflitto d’interessi quando vendono prodotti.
Lo dimostra il boom del risparmio gestito: questo significa che sempre più italiani diversificano e affidano i propri soldi a investitori professionisti. Lo conferma anche la perdita di appeal delle obbligazioni bancarie, che (secondo i dati dell’Abi) in due anni sono diminuite di 124 miliardi di euro. Lo ribadiscono infine le testimonianze di gestori di fondi e di patrimoni, secondo i quali i risparmiatori oggi chiedono servizi di consulenza sempre più sofisticati. Anche sul fronte delle imprese qualcosa cambia: il minimo sviluppo del mercato dei mini-bond e la crescita dell’Aim (il listino di Borsa dedicato alle piccole imprese) sono i primi timidi segnali di uno svezzamento in corso dal biberon delle banche.
È evidente che questi piccoli cambiamenti siano dettati più dalle circostanze sfavorevoli di questi anni che da una reale voglia di cambiare. Le imprese non avrebbero mai pensato ai mini-bond se prima non ci fosse stata una legge ad hoc e una contrazione del credito bancario tale da bruciare oltre 100 miliardi di euro di finanziamenti. I risparmiatori non avrebbero mai abbandonato i BoT a favore dei fondi comuni se i loro rendimenti non fossero scesi sotto zero. E non avrebbero mai messo in discussione i bond bancari se non fosse arrivato il bail-in. Ma questo importa poco: quello che conta, oggi, è che in Italia si sta sviluppando l’humus per far nascere una consapevolezza nuova. Questa è la premessa per un mercato finanziario più efficiente, a sua volta condizione necessaria per imprese più sane (con fonti di finanziamento diversificate) e risparmiatori più consapevoli.
Affinché questi timidi segnali diventino una svolta seria e strutturale, servono però molti passi in avanti. Urge in Italia una maggiore attenzione alla tutela del risparmio: semplificando i prospetti, combattendo i conflitti d’interesse delle banche, favorendo lo sviluppo di advisor indipendenti. È necessaria poi una spinta forte affinché i grandi investitori puntino più sull’economia reale: per esempio nei mini-bond o nelle infrastrutture. Serve infine che la normativa (per esempio quella sul private equity) venga completata con tutti i decreti attuativi. Per l’Italia questa crisi è un’occasione unica per dotarsi di un propulsore importante per l’economia reale: un sano mercato finanziario che permetta (senza eccessi però) di convogliare la ricchezza delle famiglie nei posti giusti.