Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 08 Lunedì calendario

Dorina Bianchi, l’onorevole che ha attraversato mezzo Transatlantico. Un cambio di casacca ogni due anni

L’ultima rivoluzione (almeno per ora) nella tormentata vita dell’onorevole Dorina Bianchi fa capolino dalla sua pagina Facebook. Per settimane, mesi, anni non ha pubblicato altro che encomi alle forze dell’ordine calabresi, solidarietà a politici e magistrati calabresi intimiditi, applausi al Crotone calcio e aggiornamenti sul cammino delle riforme istituzionali. I maligni pensavano che la bionda deputata si preparasse a ereditare da una calabrese doc, Maria Carmela Lanzetta, la poltrona di ministro degli Affari regionali.
Improvvisamente, invece, Dorina Bianchi il 31 gennaio ha comunicato «una bella iniziativa» alle oltre 11mila persone alle quali ella piace (ma sono senz’altro molte di più), ovvero «#FollowAMuseum, la campagna che promuove le attività dei musei attraverso i canali social. Sono già tanti i musei italiani che hanno aderito all’iniziativa. Anche sul web c’è posto per la bellezza del nostro patrimonio». Un evento culturale. Una svolta. Da poche ore la parlamentare del Nuovo centrodestra aveva giurato come sottosegretario ai Beni culturali ed ecco il primo vagito della nuova vita.
Magari sarebbe stato opportuno aggiungere una punta di entusiasmo, infondere agli «amici» di Facebook la voglia di andarli a visitare, i musei, oltre che di seguirli sui social. Ma troppe novità devono essere digerite, anche Dorina Bianchi ha bisogno di un po’ di tempo per indossare gli inusitati panni del sottosegretario. E lei è tutta un vortice di novità.
Non si giudica una cosa prima di averla provata. Vale per una moto, un manicaretto, un paio di pantaloni. Per la Bianchi vale soprattutto per i partiti politici. Li ha sperimentati quasi tutti. Un pizzico di Udc, una presa di Partito democratico, un assaggio di Pdl passando per la Margherita e finendo nel Nuovo centrodestra. Almeno per ora, perché Radio Transatlantico sussurra che il prossimo approdo potrebbe essere nuovamente il Pd di Matteo Renzi. Dove Dorina poggia sulla sponsorizzazione discreta quanto autorevole di Maria Elena Boschi. Non è un caso che proprio la ministra delle Riforme abbia presentato a metà dicembre a Palazzo Ferrajoli l’ultimo libro della collega, «L’altra faccia della medaglia» dedicato al «Mezzogiorno che ce la fa».«Lady trasloco», l’hanno perfidamente ribattezzata su Dagospia. La «regina del trasformismo». Una che «ha cambiato più casacche di Fregoli». Tutta invidia. «Il saggio muta consiglio, ma lo stolto resta della sua opinione», lasciò scritto Francesco Petrarca. Errare è umano ma perseverare è diabolico, dicevano i padri latini: regole di vita che Dorina Bianchi ha applicato alla lettera, avendo cambiato otto gruppi in 15 anni di esperienza parlamentare. Non ha mai perseverato nello stesso partito per più di un biennio.
Dorina Bianchi è in continua metamorfosi, anche nell’anagrafe. È nata a Pisa ma nelle biografie questo particolare lo nasconde: preferisce lasciare intendere che è pura razza calabra. Soprattutto ora che è molto vicina a Renzi, aver visto la luce nella città di Enrico Letta non fa curriculum. Ha fatto studi medici, è un neuroradiologo come il compagno Marcello Bartolo, eppure alla risonanza magnetica ha preferito la risonanza mediatica.
Il campo in cui ha mutato più e più volte consiglio è quello politico. Perché restare in un partito quando si è verificato che non è più quello giusto? Il percorso del neo-sottosegretario è un lungo peregrinare lastricato di errori e aggiustamenti. Era il 2001 quando mise piede alla Camera eletta in un collegio uninominale con una lista civetta collegata al Ccd di Casini e Follini, nella Casa delle libertà. L’anno dopo confluì nell’Udc nonostante i mal di pancia che presto la portarono nel gruppo misto e nel 2005 nella Margherita, con Rutelli e Fioroni che la riportarono a Montecitorio.
L’adesione fin dalla fondazione al Partito democratico era nell’ordine delle cose. Anche nel 2008 entrò a Palazzo Madama nelle liste dell’Ulivo. Non tutto però filava liscio. «Nel Pd ero un’ospite spiegò, il partito si è allontanato dal riformismo e si è spostato a sinistra e verso Di Pietro. Meglio un fronte comune con i moderati». Uno degli oggetti del contendere era la legge sulla fecondazione: Dorina Bianchi era contrarissima. Nel referendum fece campagna per l’astensionismo, come del resto l’allora presidente della provincia di Firenze, Matteo Renzi. Lo scontro si acuì quando, da capogruppo Pd in commissione Sanità del Senato, criticò la proposta di legge Calabrò sul testamento biologico. La figliola prodiga tornò dunque da papà Casini nell’Udc, con immediata nomina a vicecapogruppo.
Era il 2009 e le evoluzioni erano in costante mutamento. Nel 2011 il centrodestra la candidò a sindaco della sua Crotone: a 10 anni dall’elezione alla Camera, per la prima volta Dorina Bianchi si sottoponeva al giudizio degli elettori senza listini bloccati. Fu un disastro. Al primo turno raccolse il 20,3 per cento, inutilmente raddoppiato al ballottaggio (40,6). Il culmine della campagna elettorale fu il comizio con Silvio Berlusconi nel quale il Cavaliere attaccò gli alleati (ancora per poco) Fini e Casini senza che la senatrice, a fianco del premier, fiatasse per difendere l’Udc cui apparteneva.
L’allora presidente della Camera la scaricò con un sms («è giusto che ognuno vada dove lo porta il cuore») e a lei non restò che rifugiarsi ufficialmente nel Popolo della libertà che le garantì un seggio alla Camera. Non era però l’ultimo voltagabbana. Quando nacque Forza Italia, l’onorevole Bianchi si schierò con Angelino Alfano. E lì si trova tuttora, finalmente esaudita nell’estenuante rincorsa a un posto di governo.