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 2016  febbraio 08 Lunedì calendario

Quello del biathlon italiano è un successo fatto in casa, tutti insieme. Come i casunsei alla bergamasca

Il segreto è l’appartamento. Come in certe sit-com di successo o in quel vecchio film di Jack Lemmon. «Siamo gli unici nell’ambiente che girano con un cuoco sempre al seguito, i nordici ci considerano i terroni del circuito», se la ride Patrick Oberegger, capo allenatore del biathlon italiano dei miracoli cucinati in casa. «Il piatto forte della casa sono i casunsei alla bergamasca, roba genuina, che va subito in circolo: altro che barrette». E le poche volte che lo chef resta a casa?
«Alle pentole ci mettiamo noi allenatori e se c’è bisogno diamo anche l’aspirapolvere, mentre la fisioterapista mette su l’acqua. Del resto lo dico sempre ai ragazzi: se non diventate forti come biathleti, almeno sarete bravi mariti e mogli...». La squadra più simpatica del mondo, Dorothea Wierer, Dominik Windisch & Co, quattro vittorie e 12 podi quest’anno in Coppa del mondo, gli ultimi due con la storica doppietta di sabato, sembra, anzi, è una famiglia. Tutti insieme appassionatamente, grandi coccole e grande grinta. I risultati dicono che la ricetta è giusta. Tutto nacque da una delusione: il ritorno mesto dalle Olimpiadi di Vancouver, a mani vuote e con una squadra «un po’ vecchiotta», come dice Fabrizio Curtaz, l’uomo che ha ristrutturato il biathlon italiano, ex dt della Nazionale che l’anno scorso ha deciso di dire stop per tornare a fare il poliziotto alla Questura di Aosta. «Decidemmo di ripartire dai giovani, togliendo di mezzo tutto quello che non funzionava e rimettendo al centro il lavoro, la preparazione. Di soldi ce n’erano pochi, così saltò fuori l’idea di affittare gli appartamenti. Da lì è nato un gruppo unito, armonioso». E vincente.
Il peperino Wierer
Ogni anno ragazzi e ragazze si allenano fra le 600 e le 800 ore, «ma solo per il fondo – spiega Patrick Favre, che cura il settore femminile -, perché se poi ci mettiamo quelle dedicate al tiro, anche per gli esercizi in “bianco” in cui imitiamo i gesti senza sparare, si superano le 1000». I praticanti in tutta Italia sono circa 200, vengono dall’Alto Adige, dalla Valtellina, dalla Val d’Aosta. Un po’ di Friuli, un po’ di Piemonte, ma soprattutto Anterselva, anzi Rasun, provincia di Bolzano, la culla del biathlon italiano dove a poche centinaia di metri abitano sia la Wierer sia Windisch. Dorothea è il peperino della famiglia, dopo tre vittorie in Coppa non può più nascondersi. Sposatissima, bellina assai, tanto che i russi la volevano sull’edizione in cirillico di Playboy («ma non fa per me»), infallibile al tiro, appassionata di gossip e scarpe con il tacco a spillo, golosa di cioccolato e di vittorie. «Dice sempre che ha paura di fare brutta figura», racconta Favre, che la allena da cinque anni. «Ma in realtà non ci sta a perdere. Può migliorare ancora. Da ragazzina era una mina vagante, le partivano le parolacce e si rischiava la gaffe continua, adesso è cresciuta». Non solo lei. La squadra femminile conta Lisa Vittozzi, Karin Oberhofer, Federica Sanfilippo anche lei a podio in questa stagione, una staffetta che vale oro; senza dimenticare Nicole Gontier.
«Dominik è l’orsacchiotto»
Nel maschile accanto a Dominik c’è Lucas Hofer, bronzo nella staffetta a Sochi. «Lukas è maturato prima, Dominik ha la stessa età ma ci ha messo un po’ di tempo in più – continua Curtaz – ora però stanno arrivando tutti. Dominik sembra chiuso, in realtà è un mattacchione, sdrammatizza ogni situazione e infatti è adorato da tutti, specie dalle ragazze che lo trattano come un orsacchiotto. Dorothea è un talento naturale, lui si è costruito lavorando duro. È il tipo che sta zitto per due giorni poi se ne esce con il domandone che ti lascia spiazzato. Ha dei problemi di concentrazione, per questo si è rivolto ad un mental coach, ma è l’atleta che sognano tutti gli allenatori: uno che ti insegna molto». I successi trainano, e infatti ai mondiali giovanili sono arrivati un argento e due bronzi. I norvegesi pare siano in cerca di uno chef. «Ci manca Curtaz», dice Favre, «ma insieme sentiamo meno la fatica di stare sempre in giro». Buon appetito.