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 2016  febbraio 08 Lunedì calendario

L’evoluzione al telefono

Per le vie di Milano e di Prato, o per le strade di Roma, si vedono uomini e donne con gli occhi a mandorla, in particolare giovani, camminare velocemente e parlare al cellulare tenendo l’oggetto discosto dall’orecchio, stretto tra palmo e pollice. Hanno attivato la funzione vivavoce e mantengono lo smartphone a distanza: lo usano come un microfono. Solo gli uomini d’affari cinesi utilizzano l’auricolare. Qualcuno ha osservato che questi giovani sarebbero entrati nel mondo della telefonia senza passare per la fase della cornetta o del cordless, che si posizionano aderenti al padiglione auricolare. Gli italiani continuano invece a comunicare in questo modo; tuttavia ora si vedono giovani per la strada, luogo dove le persone conversano più frequentemente con il cellulare, riempiendo gli spazi vuoti tra una attività e l’altra, usare lo smartphone «alla cinese». 
Insieme a questo nuovo gesto c’è anche quello della scrittura dei messaggi. Riguarda l’indice. Ne fanno uso per digitare sulla minitastiera le persone dai cinquant’anni anni un su, mentre i ragazzi scrivono usando entrambi i pollici, allenati dalle pulsantiere dei videogiochi. Tutto questo confermerebbe l’intuizione di Darwin secondo cui il pollice opponibile, potendosi muovere liberamente rispetto alle altre dita, ci ha permesso di diventare umani afferrando gli oggetti. Nel caso della digitazione sulle tastiere di iPhone e tablet il pollice svolge però una funzione inattesa rispetto alle ipotesi di Darwin. Non ci rendiamo conto di come la nostra mano acquisisca funzioni operative ed espressive attraverso un lungo addestramento e educazione. L’autonomia delle dita, pollice compreso, è la conseguenza della scolarizzazione, scrive Gunther Gebauer, docente a Berlino. Sono in particolare lo scrivere a macchina e l’apprendimento del pianoforte (in realtà più raro) a educare rapidamente le nostre dita strutturando la mano ben al di là di ogni possibilità offerta dalla Natura. La mano ha il grande compito di ripartire spazio e tempo, in particolare con la funzione del contare, aprendo una dopo l’altra le varie dita. Si struttura in questo modo un «sistema d’ordine». 
Quando vediamo nostro figlio, o altro ragazzino, digitare con i due pollici non dobbiamo pensare che si tratta di una regressione, come saremmo indotti a pensare per il nostro conservatorismo, ma un’ulteriore evoluzione dei gesti possibili con mani e dita. Ed è stata proprio la scuola a istruirli contro ogni possibile previsione, anche se non suonano Mozart, ma comunicano con gli amici.