Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  febbraio 08 Lunedì calendario

Allo Stadio Flaminio ormai vivono solo topi e vandali. Il capolavoro architettonico, creato per Roma 1960, è stato abbandonato da politica e sport

Degrado del calcestruzzo. Corrosione delle armature metalliche. Infiltrazioni dappertutto. Ambienti devastati. Strutture vandalizzate. Impianti fatiscenti. Locali tecnici prossimi al collasso. Aiuole ridotte a boscaglie incolte. Il tutto circondato da una groviera d’asfalto. Così, dice la fotografia scattata da una perizia giurata, muore un gioiello dell’architettura.
Muore nell’indifferenza generale, sbranato dall’incuria e dall’abbandono. Così, insieme allo stadio Flaminio, nel cuore di Roma, a poche centinaia di metri da piazza del Popolo, muore un pezzo della nostra storia. Muore l’Italia delle Olimpiadi del 1960, l’Italia della Dolce vita, l’Italia felice del boom economico.
E pensare che per evitare il decesso basterebbero 5 milioni 925 mila euro più Iva. È il calcolo che hanno fatto due ingegneri, periti del tribunale di Roma a cui il Comune si è rivolto perché quantificassero i danni causati dall’assenza di manutenzione che si protrae da cinque anni. Sei milioni di euro: due milioni in meno rispetto alla spesa sostenuta nel 2014 dal Campidoglio, proprietario dello stadio, per l’assistenza ai pellegrini in occasione della beatificazione congiunta di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII; un settimo addirittura di quanto spenda ogni anno per gli arbitri la Federazione gioco calcio del Coni, ente pubblico concessionario dell’impianto comunale per 54 anni, fin dalla sua edificazione.
Il Flaminio viene inaugurato il 19 marzo 1959, un anno e mezzo prima dell’inizio dei Giochi olimpici. Lo stadio è stato realizzato su disegno dell’architetto Antonio Nervi con il progetto strutturale di suo padre, il grande Pier Luigi Nervi che in quegli anni sta firmando alcune fra le più ardite opere di ingegneria, come il grattacielo Pirelli di Milano. Sorge sul vecchio stadio nazionale costruito nel 1911 da Marcello Piacentini, che nel 1949 dopo la tragedia di Superga è stato dedicato al grande Torino di Valentino Mazzola, ma è ormai cadente e viene abbattuto per fare spazio al Flaminio. I lavori durano meno di due anni. Il costo non raggiunge il miliardo di lire, cifra oggi equivalente a meno di 13 milioni di euro. Lì si deve giocare a pallone, ma il Flaminio è stato concepito come un impianto polivalente: negli spazi sotto le gradinate ci sono palestre per la ginnastica, la lotta, i pesi, la scherma e il pugilato, compresa anche una piscina per il nuoto.
Nei dieci anni seguenti ci giocano talvolta Roma e Lazio, e anche la Nazionale Under 21. E poi il rock: al Flaminio suonano U2, Duran Duran, Prince, David Bowie, Michael Jackson e Rolling Stones, prima che la rivolta degli abitanti contro i decibel ponga fine alla stagione dei concerti. Intanto è arrivato il rugby. Prima un po’ in sordina. Poi, quando l’Italia viene accolta nel club del Sei Nazioni, esplode la febbre. Al punto che la Federazione rugby pensa di installarsi lì e il Comune di Roma stanzia 10 milioni per le ristrutturazioni. Ma le cose non vanno per il verso giusto. Anche perché nel frattempo il Comune boccia il progetto di ampliamento che la Federazione ha presentato per aumentare la capienza da 24 mila a 40 mila posti. Le ragioni? Il pregio architettonico dello stadio e i vincoli archeologici. Il Sei Nazioni si trasferisce all’Olimpico e la Federazione rugby getta la spugna. L’ultima partita al Flaminio si gioca il 12 marzo del 2011 ed è una storica vittoria dell’Italia contro la Francia: 22 a 21, maturata proprio negli ultimi minuti. Nel febbraio 2014 ai rugbisti subentra la Federazione gioco calcio. Giusto per prolungare di qualche mese l’agonia. Poi, il 23 dicembre successivo, il Coni restituisce le chiavi al Comune. E partono le carte bollate. Le manutenzioni latitano da anni e lo stadio versa in condizioni pietose. Gli alberi sono cresciuti nelle gradinate e perfino sulla grande pensilina. Il terreno di gioco si è trasformato in una savana. I locali sotto gli spalti sono il regno dei vandali e dei topi. I giardini sono popolati da ogni genere di rifiuto, ivi incluse carcasse di auto abbandonate e roulotte incendiate. A ridosso dei Parioli, il quartiere residenziale più prestigioso di Roma. E a pochi metri dall’Auditorium di Renzo Piano, autore anche di un piano per il riassetto complessivo di tutta l’area che avrebbe dovuto qualificarsi come il polo romano della cultura. Rimasto, ovviamente, nel cassetto: la politica aveva altro di cui occuparsi.
Già, ma ora? Possiamo accettare che continui uno scempio simile? Il commissario straordinario Francesco Paolo Tronca ha dato incarico di fare qualche pulizia; un trattore ha spianato la savana; il servizio giardini ha tagliato un po’ di giungla. Ma da questo a una soluzione accettabile ce ne passa. È chiaro che se ne dovrebbe occupare chi è competente per lo sport, e questo tira in ballo nuovamente il Coni di Giovanni Malagò, impegnato nella candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024, il quale potrebbe anche accollarselo. Però a determinate condizioni: il Flaminio, dice, «vale zero». Anche se resta sempre da risolvere quella faccenda dei sei milioni di danni per le manutenzioni mai fatte. La cosa pare aver subito ora una notevole accelerazione. Auguri. Ma certo sarebbe davvero singolare se a mettere la parola fine a questa storiaccia fosse un commissario, dopo l’inerzia di tante amministrazioni elette dai cittadini.