Corriere della Sera, 8 febbraio 2016
Metti una sera a cena Matteo Renzi con il collega olandese Mark Rutte a parlare di (mini)Schengen
I passanti che li vedevano parlare attraverso una finestra sulla strada devono aver capito che è stata una cena piacevole, intensa, interessante. Non avranno udito però quando Matteo Renzi e il suo collega olandese Mark Rutte, venerdì sera al ristorante Impero Romano dell’Aia, hanno toccato due punti dietro i quali la posta in gioco è molto alta. Sia per l’integrità dell’Unione Europea, che per quella dell’euro. Lo è per l’Italia così come per la capacità dei Paesi dell’Europa del Sud e del Nord di continuare a lavorare insieme in un’area unica, senza linee di faglia. Sono del resto gli stessi temi che potrebbero dominare l’agenda del governo italiano nei prossimi mesi, anche con nuove proposte, specie se il premier eviterà una prova di forza a Bruxelles per pochi decimi di punto di deficit in più.
Il primo momento delicato dell’incontro dell’Aia è arrivato quando il premier italiano, 41 anni, ha chiesto al 48enne Rutte di fare chiarezza sulle sue intenzioni riguardo a Schengen. Sull’accordo di libera circolazione delle persone nelle scorse settimane erano arrivati segnali ambigui dal governo olandese; non diversi, in realtà, da una visione del futuro europeo che si sta diffondendo e radicando anche in alcuni ambienti conservatori in Germania. L’impressione diffusa è che la minaccia di tagliare la Grecia fuori da Schengen, lasciandola sola a gestire i flussi di rifugiati dalla Turchia, rischi di essere solo un primo passo. L’intensificarsi degli arrivi dal mar e in Grecia e in Italia dalla primavera potrebbe preludere alla sospensione degli accordi di Schengen: il sistema comune dei visti salterebbe, ogni frontiera nazionale tornerebbe presidiata. Ma una svolta di questo tipo – si teme nel governo italiano – rischia di condurre dopo pochi mesi a una sorta di «mini-Schengen» del Nord, ad esclusione dei territori a sud delle Alpi e dei Balcani.
L’idea è molto discussa in Germania in queste settimane, ma non è nuova. Nel 1994 Karl Lamers e Wolfgang Schäuble, allora i due grandi consiglieri del cancelliere Helmut Kohl nel partito cristiano-democratico, la definirono in un celebre documento «Kerneuropa»: Europa del nucleo duro, raccolta attorno a Germania, Francia e Benelux, con i Paesi del Sud essenzialmente in lista d’attesa per quando sarebbero stati pronti a entrare nella moneta unica. Oggi un disegno di integrazione esclusiva fra Paesi più simili fra loro e meno carichi di problemi torna all’ordine del giorno, ma attraverso il canale di Schengen.
La crisi migratoria è così violenta da poter indurre il collasso della libera circolazione, seguito dalla ricostruzione di un «nucleo duro» per permettere, per esempio, agli esportatori tedeschi di arrivare al porto di Rotterdam senza ostacoli. Rischierebbe di essere solo un primo passo prima che l’antico progetto di Lamers e Schäuble, oggi ministro delle Finanze di Berlino, si allarghi alle altre aree oggi disfunzionali di questa Europa. Dall’unione bancaria, fino all’euro.
Venerdì Renzi ha chiesto a Rutte se davvero crede a una «mini-Schengen», di cui qualcuno nel governo olandese ha già parlato in pubblico. Il premier dell’Aia lo ha escluso e la discussione è proseguita, fino a un secondo punto sensibile. Rutte ha spiegato la sua intenzione di usare il proprio turno di presidenza della Ue, fino a giugno, per sviluppare il mercato unico dell’energia e far decollare quelli dei capitali e dell’industria digitale. Renzi lo ha interrotto: prima di aprire nuovi cantieri è bene chiudere quelli già aperti, ha detto. In primo luogo l’unione bancaria.
Il richiamo al veto della Germania sulla garanzia comune dei depositi bancari nell’area euro era chiaro, e anche su questo l’olandese ha cercato di rassicurare: lavorerà «su tutto». Renzi in questa fase cerca però di non presentare solo rivendicazioni particolari. Nel 2017 si vota in Germania, Francia e Olanda, dove il liberal-democratico Rutte oggi è indietro nei sondaggi sul populista di destra Geert Wilders. In vista del ciclo elettorale dell’anno prossimo, dall’Italia si propone che ci si fermi per un «consolidamento» di attività e prerogative della Commissione Ue prima che si espandano ancora per inerzia. Un’iniziativa del genere potrebbe riguardare la vigilanza di Bruxelles sugli sgravi fiscali agli investitori esteri o sugli aiuti di Stato all’acciaio, proprio mentre l’Unione tiene tassi bassi sull’import dai concorrenti cinesi pesantemente sussidiati.
L’interventismo e la protezione doganale non fanno parte nel codice genetico dell’Unione europea. Renzi dovrà presentare un disegno complessivo, se vuole dissolvere la diffidenza e parlarne. Il modo migliore per riuscirci sarà forse rinunciare alle misure più elettoralistiche inserite nella Legge di stabilità, e trovare un compromesso sul deficit a Bruxelles. Dalla Commissione Ue stanno arrivando segnali precisi in questi giorni su questo. Se saranno colti, si capirà tra non molto.