La Stampa, 5 febbraio 2016
Ciancimino Jr parla al processo Stato-Mafia, tra una pizza con Provenzano e quel «cretino» di Matteo Messina Denaro
Bernardo Provenzano visto da vicino, l’ex superlatitante di Cosa nostra che saluta col bacetto e mangia la pizza in un contesto intimo e familiare, Matteo Messina Denaro che sarebbe «solo un cretino», Totò Riina «un pupazzo». È show ma non troppo: Massimo Ciancimino parla per quattro ore dei presunti patti inconfessabili che avrebbero consentito a Bernardo Provenzano di rimanere latitante, sostanzialmente indisturbato, per 43 anni, ma è stanco e affaticato, l’uomo che depone – da imputato e teste – al processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Ciancimino ottiene più pause, fino al getto della spugna e al rinvio a oggi del processo che poggia proprio sulle dichiarazioni del figlio di don Vito, oltre che su Claudio Martelli e sull’ondivago Giovanni Brusca.
Un «lasciapassare»
«Binu» Provenzano, spiega Ciancimino jr, avrebbe goduto di un sostanziale lasciapassare istituzionale, in particolare nel periodo a cavallo fra le stragi di Capaci e via D’Amelio e nella seconda metà del 1992. Perché quello sarebbe stato il tempo in cui lo Stato avrebbe trattato con la mafia, per far cessare l’attacco col tritolo e Provenzano avrebbe agevolato il dialogo con pezzi deviati delle istituzioni, a cominciare dai carabinieri del Ros, guidati da tre degli imputati: Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno. Su tutto pesa però l’ipoteca dell’attendibilità intrinseca, tante, troppe volte messa in discussione con la «complicità» dello stesso figlio di don Vito, accusato di una serie di reati commessi anche durante la sua collaborazione con i pm di Palermo, ritenuto inaffidabile dai magistrati di Caltanissetta e condannato pure in appello per la detenzione di esplosivo in casa, oltre che intercettato a Palermo, ma anche (e soprattutto) a Reggio Calabria, Bologna, L’Aquila, Ferrara, Roma. E in uno di questi colloqui si vantava di poter fare il bello e il cattivo tempo persino col computer dell’ex pm Antonio Ingroia, grazie alla propria immagine di «icona dell’antimafia».
Verbale inedito
Insomma, il quadro di partenza non è dei migliori ma i pm in questi mesi hanno insistito nel puntare su di lui e proprio ieri hanno depositato un suo verbale nuovo, inedito, sui rapporti tra mafia e Servizi deviati. Provenzano, racconta Massimo, «frequentava settimanalmente casa Ciancimino», presentandosi come l’ingegnere Lo Verde e venendo riconosciuto solo anni dopo dal figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. Fra il 1978 e il 1980 erano state serate trascorse insieme in maniera amena, con Provenzano, in pizzeria, a San Martino delle Scale e a Baida, sopra Palermo, con i figli maschi di don Vito, saluti col bacio, affetto quasi paterno, nutrito dal sedicente ingegnere verso Massimo. Nel periodo delle stragi, poi, Ciancimino avrebbe fatto da tramite, da postino, da vettore dei pizzini che il padre e «Binu» si scambiavano per trattare. Ce n’è pure per Totò Riina, che ascolta disteso in lettiga, in una saletta del carcere di Parma, collegato in videoconferenza: «Era sgrammaticato, mio padre non lo stimava, lo chiamava Pupazzo, doppiogiochista. I Messina Denaro? Cretino il padre, Francesco, figuriamoci il figlio, Matteo». Ciancimino padre avrebbe poi investito, «grazie all’intermediazione di Stefano Bontate e Marcello Dell’Utri, nella realizzazione di Milano 2 da parte di Silvio Berlusconi». «Dichiarazioni infondate e già smentite», commenta il legale dell’ex premier, Niccolò Ghedini.