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 2016  febbraio 05 Venerdì calendario

Neonato felice in pronta consegna per 4.900 euro. Nel supermercato del bebè

«La legge Cirinnà sulle unioni civili non c’entra niente con l’utero in affitto, che in Italia resta assolutamente vietato», dicono i difensori della contestata legge. Vero e falso allo stesso tempo. È vero che la fecondazione eterologa resta fuorilegge. Ma è anche vero, come sostengono i movimenti contrari al ddl Cirinnà, che la stepchild adoption (adozione del figliastro dell’altro partner) prevista dalla legge potrebbe incentivare il ricorso alle madri surrogate all’estero, visto che si riconoscerà come figlio di entrambi il bambino biologico anche di uno solo dei partner (anche dello stesso sesso), magari avuto col ricorso alle mamme in affitto.
Una pratica controversa, proibita in molti Stati non solo in Italia. Come ha scritto il Giornale nell’inchiesta dello scorso 10 agosto, nei paesi dove invece è legale anche a scopo di lucro si è creato un business che ha dato vita a veri «supermarket» dei feti. Alla BioTexCom di Kiev, in Ucraina, rinomato «Centro per la riproduzione umana», offrono tariffe e pacchetti molto competitivi. Il miglior affare del discount (testuale), con tanto di foto di neonato felice in pronta consegna, è di 9.900 euro: «Successo garantito». Per quella cifra offrono illimitati tentativi di procreazione (mentre l’economy package per 4.900 euro, ne consente solo uno) e il rimborso in caso di insuccesso. Fecondati o rimborsati. Per i più ricchi invece c’è il pacchetto lusso, all inclusive (29.900), che comprende non solo la consegna di un bambino, ma anche i costi del viaggio, un appartamento in centro, vitto, interprete, spese legali, assistenza medica, compenso per la ragazza ucraina che presta l’utero.
In Russia, per avere la clinica leader, la Sweetchild di Mosca, bisogna spendere almeno 35mila euro, negli Usa almeno 100mila dollari. Le madri in affitto sono garantite ai clienti, definiti «genitori committenti», previo «contratto di gestazione», per prevenire il rischio che alla madre naturale venga voglia di tenersi il bambino, inconveniente che talvolta si è verificato. C’è Olga, 24 anni, 1 metro e 55 per 52 kg di peso, capelli scuri e occhi verdi, prima di reggiseno, oppure Irina, 33 anni, quasi un metro e ottanta, bionda e occhi azzurri e terza di seno. E molte altre nel catalogo tra cui scegliere come madre incubatrice del proprio bambino.
Oltre all’Ucraina e la Russia, la maternità in affitto è consentita in Grecia (ma solo per i residenti greci), in Gran Bretagna ma con molte limitazioni, in Sudafrica, in Kazakistan, in Brasile ma solo se la gestante è parente della coppia, in Canada (ma bisogna mettere in conto che la madre surrogata se cambia idea può tenersi il bambino), oppure per chi ha più soldi in alcuni (otto, per l’esattezza) Stati degli Usa. Più di recente il Nepal o l’India, dove si stima che il giro di affari della maternità surrogata, rivolta soprattutto ai ricchi occidentali, sia di 400 milioni di euro l’anno.
Il divieto del governo indiano alle coppie omosessuali ha aperto il business per il vicino Nepal. «Il Nepal è diventato un produttore di bambini per ricchi» scrive il quotidiano spagnolo El Pais in un’inchiesta sulla maternità surrogata. «A Kathmandu, le fabbriche di maternità per conto terzi sono spuntate come funghi: ce ne sono già più di una decina. Il governo non si intromette se la transazione avviene tra stranieri, e le cliniche assumono donne indiane o bengalesi per usare i loro ventri».Decine di coppie italiane si affidano ogni anno alla maternità surrogata all’estero. Le difficoltà arrivano quando si vuol far riconoscere il figlio in Italia. I problemi, che possono sfociare anche nel mancato riconoscimento da parte dello Stato, dipendono da diversi fattori: l’inesistenza di un legame genetico tra genitori e bambino rintracciabile con l’esame del Dna, le leggi del Paese in cui il bambino è fatto nascere. Si può rischiare anche un’incriminazione per «alterazione di stato» del neonato, punita dal codice penale italiano con la reclusione. È capitato, tra gli altri, a una coppia molisana tornata da Mosca (per 50mila euro) con un bambino. Dopo la richiesta di riconoscimento all’anagrafe comunale e le indagini sul patrimonio genetico del bambino è partita la segnalazione al tribunale dei Minori. Che non ha riconosciuto come legittimi i due genitori («il bambino era lo strumento con cui soddisfare il loro desiderio narcisistico di esorcizzare il problema di coppia» scrisse il giudice) e ha assegnato il bambino ad una famiglia adottiva. La Cassazione nel 2014 ha dato nuovamente torto alla coppia, finché la Corte dei diritti dell’uomo (Cedu), pur confermando che «la condotta dei ricorrenti è stata contraria alla legge», ha riconosciuto come primario il diritto del bambino ad avere una famiglia. E non è finita, il processo va avanti perché lo Stato italiano ha fatto ricorso. Anche tra le madri surrogate, non solo tra i «genitori committenti», ci sono storie felici (donne già madri per conto loro, orgogliose di poter aiutare la maternità altrui), ma anche tristi. Persino negli Usa, dov’è più contenuto il rischio (rispetto a India, Nepal, o Paesi dell’Est dove la povertà è più diffusa) che procreare diventi un lavoro ben remunerato. Il New York Post ha ripreso una testimonianza raccolta in un documentario choc, Breeders: A Subclass of Women? (Breeder si può tradurre con «animale da riproduzione»). Angela Robinson, di Middletown, Stato di New York, si offre per fare da madre surrogata per il fratello e sua moglie. Dopo il parto qualcosa in lei cambia, rivuole il bambino, inizia una battaglia legale che finisce in una sentenza che glielo riconosce come suo. «Penso che la maternità surrogata vada vietata racconterà – L’idea che si possa pagare per avere un figlio è orribile. Tutti pensano alle persone che non possono avere figli, ma nessuno pensa ai bambini nati così, o alle donne da riproduzione che stiamo creando con questa tecnica».Un punto di vista conservatore. Anzi, retrogrado e medioevale, direbbero molti supporter della Cirinnà.