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 2016  febbraio 05 Venerdì calendario

Le prossime mosse di Draghi

Ieri Mario Draghi non avrebbe potuto scegliere un ambiente intellettualmente più ostile per le sue parole.
Un appello in favore di nuovi interventi da parte della Banca Centrale Europea per far risalire l’inflazione nella zona euro. Il presidente della Bce stava infatti parlando all’interno degli uffici regionali della Bundesbank, la potente banca centrale tedesca che da sempre è scettica sulle misure non convenzionali di politica monetaria come l’acquisto di titoli di stato. Seduto in platea c’era Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, che spesso si trova a dissentire da Draghi all’interno del consiglio direttivo della Bce.
Il discorso è solo l’ultimo di una serie di interventi che il presidente della Bce sta pronunciando prima della riunione del consiglio direttivo di marzo, da cui i mercati si aspettano nuove misure di stimolo. L’obiettivo è presumibilmente quello di assicurarsi che ai piani alti della Bce ci sia il sostegno necessario per approvare un pacchetto che non deluda le attese. A gennaio, il presidente della Bce ha parlato di un consiglio unanime nel sostenere la necessità di rivedere la politica monetaria tra un mese, ma il rischio è che si crei un fronte interno, che limiti le azioni di Draghi come è già successo a dicembre.
Ci sono pochi dubbi che la lettura del presidente della Bce sia corretta dal punto di vista economico. L’inflazione nella zona euro è allo 0,4 per cento, ben al di sotto dell’obbiettivo di poco inferiore al 2 per cento che la Bce si è posta. È proprio l’ortodossia monetaria cara alla Bundesbank a richiedere che la banca centrale si muova per far tornare l’inflazione al suo target.
Un’obiezione ripetuta più volte da Weidmann è che la debolezza nella crescita dei prezzi sia legata soprattutto al crollo del costo delle materie prime, un elemento che le banche centrali dovrebbero ignorare perché temporaneo. Ma se questo ragionamento è in teoria corretto, è anche vero che l’andamento dei prezzi escludendo il costo di prodotti come il greggio resta comunque debole. Anche le aspettative di inflazione, che misurano il rischio che consumatori e aziende si aspettino prezzi più bassi in futuro e dunque rimandino le loro decisioni di spesa e investimento, sono sotto il livello di guardia.
Vincere la resistenza della Bundesbank, o quanto meno isolarla, è dunque fondamentale per aiutare la ripresa europea che, come mostrato dal taglio delle stime di crescita fatto ieri dalla Commissione Europea, si scopre oggi più vulnerabile del previsto alle debolezze delle economie emergenti. Il meeting della Bce di marzo è poi fondamentale per riaffermare la credibilità di Draghi davanti ai mercati: dopo le promesse di nuovi stimoli fatte a gennaio, le borse hanno reagito in modo positivo per meno tempo che in passato. Si tratta di un segnale che oggi gli investitori potrebbero essere meno convinti della capacità di quello che avevano ribattezzato Super Mario di passare dalle parole ai fatti.
Ma la Bundesbank non è l’unica istituzione che farebbe bene a prendere nota del punto di vista del presidente della Bce. Draghi ha parlato anche al governo di Berlino, uno dei suoi più forti alleati nella decisione di lanciare prima lo scudo monetario chiamato “Outright Monetary Transactions”, che rassicura i mercati che la Bce si comporterà come prestatore di ultima istanza ai governi, e poi il “Quantitative Easing”. Oggi Berlino punta i piedi sulla cosiddetta garanzia comune sui depositi, che, come ha ricordato ieri Draghi, è necessaria per completare il progetto di unione bancaria. Senza questa garanzia, alcune banche, come quelle tedesche, verranno percepite come più forti, per esempio, di quelle italiane, solo perché hanno alle spalle un cordone di protezione – bancario e governativo – più solido.
Il grido d’allarme di Draghi dovrebbe però raggiungere anche il nostro governo a Roma, che giustamente si aspetta passi in avanti sia sul fronte della politica monetaria sia su quello del completamento dell’unione bancaria. Come ha dimostrato la storia recente, questi progressi avvengono anche grazie a un clima di fiducia reciproca fra i diversi Paesi che compongono la zona euro.
Gli attacchi continui di porzioni del nostro esecutivo verso le istituzioni europee rischiano di indebolire i già fragili compromessi su cui si basano i passi avanti della moneta unica. L’indebolimento della spinta riformista, insieme ad alcune scelte fiscali come il taglio delle tasse sulla prima casa invece di un più forte sostegno agli investimenti o alle assunzioni, possono poi finire col rafforzare quelle voci critiche che sostengono che proprio quando la Bce agisce i governi si rilassano.
Un nuovo rallentamento dell’economia mondiale potrebbe portare la Bce e le altre istituzioni europee a discutere di misure che fino a pochi mesi fa sembravano lontane. L’Italia deve essere una voce autorevole a questo tavolo, non un lamento di sottofondo che gli altri Paesi fanno fatica a ascoltare.