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 2016  febbraio 05 Venerdì calendario

In via del Colosseo 62 vivono un giudice, un’anziana prostituta e un bandito. Tra appartamenti venduti a 1,7 milioni e affitti da 18 euro al mese

La facciata rosa smunto è ritinta da poco, il muro laterale è scrostato da vent’anni, il retro lo hanno aperto con Alemanno sindaco per installarci un infopoint del Comune di Roma e un bar. Si danno informazioni e servono caffè al piano terra di un palazzo abitato. Somiglia, il 62 di via del Colosseo, all’emblema scandaloso di questa Affittopoli per poveri che per la terza volta attraversa Roma capitale. Ma qui dentro, oltre al fatto che poveri e ricchi vivono in appartamenti confinanti, così come stanno sotto lo stesso tetto case vendute a un milione e 700mila euro (terzo piano) e affitti da 18 (diciotto) euro al mese, lo scandalo riesce a farsi velare da un romanzo dell’assurdo che finisce per coprire tutto. Siamo a Roma.
Due civici prima di Benito, Benito che ottenne la sua casa a pigione da saldo direttamente da Mussolini, c’è, appunto, l’altro palazzo del Comune di via del Colosseo. È un edificio imponente. Dicono del Cinquecento. Dicono un lascito della chiesa. Ospita nove appartamenti su tre piani. La maggior parte è stata venduta all’asta da Risorse per Roma, l’immobiliare del Campidoglio, mentre uno, primo piano, intestato al fotografo Guidoni, ancora tre anni fa costava all’inquilino 18 euro al mese.
Il fotografo non c’è più e l’appartamento (e l’affitto) sono stati ereditati dalla figlia, ultima miracolata. A Roma si ereditano anche le dimore pubbliche oltre a quelle private.
In questo bel palazzo del Comune, nelle ultime stagioni, tutto è avvenuto con modalità teatrali, spesso illegali. Una piccola chiesa subito dopo l’ingresso, prova del passato religioso, è stata trasformata e a lungo abitata da una signora che si è guadagnata da vivere facendovi marchette. Anche in età avanzata. La padrona di casa, accordandosi con le suorine della vicina Sant’Agata dei Goti, un pomeriggio in assenza della squillo le cambiò la serratura dell’ingresso costringendo la donna vissuta a riparare in convento. Dieci giorni e la lucciola al tramonto, non sopportando orari e prediche delle suore, tornò al palazzo. E iniziò a vivere nell’androne. I vicini, spesso non legali ma certo di buon cuore, la aiutarono, ognuno per un pezzo: chi le diede un materasso, chi le coperte, chi una sedia dove appoggiare i vestiti. È storia recente, non del Cinquecento.
Al primo piano, a sinistra dopo le larghe scale in marmo, l’appartamento migliore il Comune di Roma lo aveva affidato – a canoni scontati – a un uomo che amava definirsi della Banda della Magliana. Divideva la casa con il figlio, che a sua volta vantava il mestiere di rapinatore (trovando conferme ufficiali al vanto). I corridoi erano murales di Totti dipinti a mano. Padre e figlio improvvisamente lasciarono casa e abbandonarono nell’androne una vecchia e preziosa Honda. Ci restò mesi, fino a quando il figlio, nottetempo, non riuscì a farla ospitare in casa di un vicino. Non si sa se usò le buone.
C’erano, e ci sono, persone normali al 62 di via del Colosseo, dove nessuno apre mai il portone, nessuno parla con gli sconosciuti. C’è chi ha acquistato casa, per esempio, a un prezzo vantaggioso approfittando delle aste del Comune di Roma. Vantaggioso ma non scandaloso. La storia del superattico, tuttavia, consegna definitivamente al palazzo l’aura del simbolo. L’appartamento al 9, successivamente unificato con il 7 senza chiedere permessi, è stato sequestrato dalla magistratura di Perugia nel novembre del 2012. Il bene – dieci vani – da sei mesi era nella disponibilità di Piercarlo Rossi, oggi 43 anni, compagno del giudice fallimentare Chiara Schettini, di tredici anni più adulta, arrestata lei il 10 maggio del 2013 con l’accusa di aver dirottato secondo interesse svariati fallimenti aziendali e di aver condotto una spregiudicata campagna acquisti immobiliare. L’appartamento al numero 9 accatastato come A2, secondo gli accertamenti della guardia di finanza, è stato acquistato da una testa di ponte ingaggiata da Rossi (su mandato della giudice Schettini) sottraendo 370 milioni a una casa di riposo romana, il Domitia hospital, e contribuendo con questa “illecita distrazione” al suo fallimento.
Interrogato nel carcere di Perugia, Rossi ha raccontato che l’accordo per quell’acquisto di lusso dal vecchio proprietario (che aveva trasformato un affitto in proprietà vincendo un’asta comunale) era pari a 1,7 milioni. Il faccendiere protetto dal giudice fallimentare lo aveva pagato con una serie di bonifici estero su estero transitanti da Panama. In verità, la Finanza ha trovato tracce di versamenti solo per 695 mila euro, che poi è il prezzo dichiarato sul rogito.
Non c’è solo il procurato fallimento, dietro il superattico affacciato sui Fori Imperiali. C’è che Rossi non avrebbe potuto comprarlo prima di dieci anni (l’alienazione pubblica era stata troppo recente) e poi, ottenuto l’appartamento con carte false e soldi altrui, sfondò un muro, alzò una nuova porta e fece del terzo piano una sola, immensa casa. Senza chiedere permesso. Il 21 gennaio 2015, per un errore procedurale, la casa gli è stata restituita.