Corriere della Sera, 5 febbraio 2016
Il mistero della morte di Giulio Regeni al Cairo. Sul suo corpo segni di torture
L’appartamento dove Giulio Regeni viveva in affitto da un paio di mesi è al terzo e penultimo piano di una palazzina silenziosa nel ventre morbido di Dokki, quartiere alberato, residenziale del Cairo. Di sera la strada è illuminata a malapena dalla luce giallognola di qualche raro lampione e dai neon del chiosco di Omar all’angolo, ma le donne passeggiano tranquille, mentre i bawab – i portieri in tunica lunga – chiacchierano davanti alla soglia. «Giulio veniva qui a comprare le sigarette e la Pepsi rientrando a casa», racconta il giovane Omar al chiosco. Sigarette e Pepsi, un’abitudine serale di molti egiziani. Fumava le LM, 17 sterline egiziane a pacchetto (due euro) e da questo si vedeva ch’era straniero, gli egiziani più squattrinati preferiscono le Cleopatra da 10. Omar sapeva già che Giulio è sparito, gliel’hanno detto Mohammad e Juliane che condividevano l’appartamento con lui. Ma gli occhi si spalancano di dolore quando sente che il cadavere dello studente italiano è stato ritrovato l’altro ieri sul ciglio dell’autostrada per Alessandria.
Tagli sul naso e le orecchie. Segni di coltellate e percosse concentrati soprattutto sulla testa e la schiena. Contusioni e bruciature di sigarette su tutto il corpo. Era nudo dalla cintola in giù. L’autopsia descritta dal procuratore Ahmed Nagi non lascia dubbi: è stato torturato. «Deve essere stata una morte lenta», ha aggiunto mentre fonti del suo ufficio dicono al Corriere che «le indagini preliminari mostrano che il corpo avrebbe ceduto per dissanguamento, come risultato delle violente percosse».
Mohammed e Juliane soffrono troppo per parlare adesso del loro amico brillante, un ricercatore friulano che parlava inglese, spagnolo e arabo, che studiava a Cambridge ma preparava la tesi del dottorato qui al Cairo. «L’argomento erano i sindacati», ci dice al telefono Malek Adly, avvocato per i diritti umani che gli aveva consigliato diversi contatti. Soffrono anche perché troppo poco si sa della morte di Giulio, a parte la violenza con cui è avvenuta e il fatto che ci sono voluti ben nove giorni per scoprire il cadavere.
Il 25 gennaio alle otto di sera Giulio ha percorso la via Ansari fino alla fermata Bohooth della metro. Qualche minibus di corsa lo avrà costretto a schiacciarsi contro un’auto. Avrà evitato le buche e il fango nell’asfalto. Aveva detto via sms all’amico Amr Assad che andava a una festa di compleanno – il suo 28esimo tra l’altro era stato appena dieci giorni prima. Doveva scendere alla fermata Mohammed Naguib, perché Sadat era chiusa, e continuare a piedi fino al quartiere di Bab Al Louq, a due passi da piazza Tahrir. Sadat era chiusa? Sì, perché non era un giorno qualsiasi. Il 25 gennaio era il quinto compleanno della rivoluzione: i poliziotti in divisa e in borghese erano dovunque. I manifestanti? Praticamente zero. Le proteste erano proibite, c’era stata una campagna di arresti preventivi, che aveva additato anche gli stranieri come possibili sobillatori. Anche per questo, quando gli amici non hanno visto arrivare Giulio, si sono subito allarmati: hanno provato il cellulare, staccato.
I genitori Paola e Claudio sono volati qui da Fiumicello in provincia di Udine. Gli amici hanno chiamato in aiuto gli avvocati dei diritti umani. «Abdeen, Dokki, Qasr El Nil»: Malek Adly elenca le stazioni di polizia visitate invano. Alla fine, mercoledì, le autorità hanno comunicato all’ambasciatore italiano Maurizio Massari che il cadavere era stato ritrovato, a 20 chilometri dal centro, in una zona dove nessuno andrebbe a passeggiare di notte.
Massari era con il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e una delegazione di 60 imprenditori italiani in visita al Cairo. Alle 19.30, alla cena in ambasciata, Massari è arrivato agitatissimo. Poi lui e la ministra Guidi sono corsi via: andavano a Dokki, è toccato dare la notizia ai genitori, prima di annullare la visita.
Chi ha ucciso Giulio? Chi lo ha torturato così? I criminali fanno sevizie del genere? Sono forse più comuni tra chi vuole estorcere informazioni. Ma sui siti egiziani, ieri mattina, il capo della polizia di Giza Khaled Shalaby a un certo punto diceva che Giulio sarebbe morto in un incidente d’auto. La Farnesina ha convocato d’urgenza l’ambasciatore egiziano a Roma Amr Mostafa Kamal, usando toni duri, parlando di «sconcerto». Poi Massari è stato chiamato al ministero degli Esteri al Cairo: condoglianze, promesse di collaborazione. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiede di «assicurare che i responsabili di un crimine così efferato» siano puniti. L’indagine sarà congiunta: sette esperti italiani di polizia, Carabinieri e Interpol arrivano oggi.
La salma ora è all’ospedale italiano «Umberto I», sempre nella capitale egiziana. I genitori vogliono riportarlo a casa il prima possibile, ma non senza la verità. In Rete, l’attivista Mona Seif esprime le condoglianze a nome dell’Egitto, ma piena di amarezza invita gli stranieri a restare lontani da un Paese di tortura e di morte.