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 2015  novembre 29 Domenica calendario

Come mai nessuno vuole più fare il sindaco

L’ultimo brivido del sindaco: adeguare l’addizionale Irpef. Naturalmente nel tempo libero, per il resto occupato da doveri di rendicontazione, cioè nevrotico collezionismo di scontrini, e poi esibizione di frugalità, respiro umanitario con lo srotolamento del poster di un ostaggio o l’illuminazione ottimisitico-luttuosa di un monumento, trattativa sindacale con le più piccole e agguerrite caste, esigenze ininterrotte di consolidamento del consenso.
Alla fine, se va bene, si lascia con la patente d’incapaci e qualche avviso di garanzia per abuso d’ufficio, mancando la firma sulla modulistica o qualcosa del genere. Era un ruolo ambito, quello di sindaco, e non lo è più. A Milano, Giuliano Pisapia non vuole saperne della ricandidatura. A Torino, Piero Fassino finirà con l’accettarla ma senza lancio di fuochi d’artificio. A Roma si procede in una discussione infinita su nomi di seconda fila, a destra e a sinistra, luoghi politici degli ultimi due sindaci, Gianni Alemanno e Ignazio Marino, non dei front man delle rispettive coalizioni. A Napoli il Partito democratico ha l’aria di potersi affidare a una riffa, intanto che si rilancia Antonio Bassolino, il re dei cacicchi di vent’anni fa, oggi un prepensionato della politica alla ricerca di un ultimo atto.
 
A proposito di cacicchi (cioè i capi tribali in America latina), secondo la definizione non proprio benevola di Massimo D’Alema: così si prese a chiamare tutti quei sindaci degli anni Novanta e in parte dei Duemila che furono la più immediata novità prodotta dalla caduta della Prima repubblica. Erano Bassolino, appunto, e poi Francesco Rutelli seguito da Walter Veltroni, Marco Formentini, Leoluca Orlando, Massimo Cacciari, qualcuno era una prima fila di partito, qualcun altro lo diventò alla svelta e fu promosso a star mediatica. Ecco, prendete il caso perfetto di Orlando: sindaco di Palermo era e sindaco di Palermo è. Venti anni fa, Orlando era il nuovo avanzante, l’ex democristiano fondatore della Rete, il grande retore dell’antimafia nella Sicilia di padre Ennio Pintacuda e del procuratore Gian Carlo Caselli, l’abilissimo rottamatore del presunto terzo livello; oggi nessuno sa nulla di lui, nulla che non attenga alla stretta amministrazione quotidiana.
Sono cambiati i tempi, sono cambiate molte cose. Quei sindaci furono i primi nella storia repubblicana a essere incaricati direttamente dai cittadini, grazie alla nuova legge elettorale; contavano più dei partiti, che non soltanto erano sputtanati per via di Tangentopoli, ma non avevano più il potere di trattare nelle segreterie il nome del prescelto dopo le elezioni; si era in piena euforia da federalismo, nella convinzione di matrice leghista che sui mitici territori si sarebbero risolte tutte le grane provocate dal centralismo ladrone; i comuni ebbero competenze varie e ampie, e conseguenti erano le aspettative. Si arrivò a parlare di partito dei sindaci, i quali non ponevano fra di loro questioni di schieramento: il nemico collettivo era Roma in ogni suo tentativo di contenerli. Come spesso succede, spettacolare è il colpo di coda: la creativa stagione delle ordinanze in gestione dell’ordine pubblico che è culminata in una fiera della stravaganza: il divieto ai cani di abbaiare nell’ora della siesta, il divieto di giocare a palle di neve, il divieto di lanciare chicchi di riso ai matrimoni.
Era già il tentativo di far girare una macchina che si stava inceppando. Il governo di Mario Monti aveva portato la spending review a bloccare l’incredibile scialacquio degli enti locali (specialmente delle regioni), replicata quasi con sadismo dai governi successivi. Di denaro in periferia ne arriva poco e sempre meno, e le città, federalismo o no, ordinanze o no, sono grosso modo le stesse di prime, sporche, caotiche, talvolta pericolose. Quella sensazione che un sindaco ci avrebbe salvato la vita è piuttosto annacquata. Del federalismo non interessa più niente a nessuno, nemmeno alla Lega. Ci si rivolge verso altri confini, e altrettanto fa il governo centrale che ha ripreso forza attrattiva proprio perché il fuoco è altrove: è sui flussi migratori, sul terrorismo islamico, sulle regole economiche di Bruxelles. E a fare il sindaco ci va qualche volontario o qualche pazzo.