il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2015
L’ira di Scalfari per la nomina di Calabresi a direttore
Dopo il bambino che si è mangiato i comunisti, Matteo Renzi; adesso c’è il bambino, Mario Calabresi, che minaccia di divorare quella certa idea dell’Italia azionista, con il culto della sinistra democratica nonché storica, da Urbano Rattazzi in poi, per decenni allergica a quell’altra Italia, volgare e alle vongole, democristiana indi berlusconiana. E così un lampo terrificante squarcia l’improvvisa notte di Repubblica: lo sfogo di Eugenio Scalfari che minaccia, a gennaio dell’anno di grazia 2016, cioè a quaranta anni esatti dalla Fondazione, di non firmare più il fondo domenicale. Solo immaginarlo provoca un accecante vuoto, lassù in alto a sinistra, sulla prima pagina del quotidiano nato nel 1976. È come la scena finale del morettiano Habemus Papam quando la loggia pontificia si spalanca dopo la fumata bianca e non esce nessuno. Che Chiesa sarebbe quella di Repubblica senza l’omelia del Fondatore nel solenne dì di festa?
A far trapelare sfogo e minaccia è stato ieri il piccolo Foglio all’insegna dell’understatement, con un pezzo relegato a pagina due. A firmare un nom de plume renzianissimo, Leopoldo Mattei, su un giornale non più diretto da Giuliano Ferrara, ma da Claudio Cerasa, altrettanto renzianissimo e figlio di una colonna storica di Repubblica. L’indiscrezione sulla rabbia scalfariana è rimbalzata di ora in ora in cerca di ulteriori conferme e alla fine della giornata si è attestata su quest’ultima evoluzione, per il momento, a detta di chi ha parlato con il Fondatore: “Scalfari è incazzatissimo soprattutto perché non è stato consultato. Non ne sapeva nulla ed è stato informato poche ore prima dell’annuncio”.
Questione di metodo, innanzitutto. Il blitzkrieg dell’Ingegnere, alias Carlo De Benedetti, per normalizzare il giornale-Partito del centrosinistra per antonomasia, che ha scelto e designato leader e candidati-premier, ha mietuto in origine la sua vittima più illustre: il Fondatore. Questo il punto. Quanto poi alla minaccia di non scrivere più, già nella serata di ieri sono circolate smentite più o meno attendibili: “Essere arrabbiato non vuol dire mollare. Scalfari ha già assicurato tutti che non accadrà”. In fondo tutto è vanità e poi a novantuno anni sono poche le cose che importano davvero. Semmai i ghiribizzi del Fondatore sono il termometro dell’ansia che investe la redazione e i lettori. E qui si arriva alla seconda mutazione genetica del renzismo. Dopo il Pd, Repubblica. Tracce di questa attesa ansiosa – Calabresi s’insedierà a gennaio appunto – sono rinvenibili nel comunicato del cidierre del quotidiano, in cui, liquidato con uno scarno “bentornato” il nuovo direttore, si scolpisce la sacra parola di “identità” accostata all’orgoglio, ovviamente, e a due verbi: custodire e rinnovare. Quale identità sarà, dunque, quella di Calabresi?
L’attuale direttore della Stampa, che a Repubblica ha già lavorato nell’ufficio centrale, arriva dopo due Ventenni. Il Ventennio scalfariano, 1976-1996, ha coperto tutta la Prima Repubblica in direzione antidemocristiana (tranne un breve innamoramento del Fondatore per Ciriaco De Mita) e si è retto su tutte le pulsioni libertarie e radicaleggianti di sinistra incubate dall’Espresso, lo stesso settimanale che nel 1971 fece il famoso appello contro il commissario Calabresi, il “commissario torturatore” dell’anarchico Pinelli, e che vide lo stesso Scalfari tra i firmatari. Luigi Calabresi, papà di Mario, venne ammazzato un anno dopo e per quell’omicidio è stato condannato anche Adriano Sofri, firma di Repubblica che ha già annunciato l’addio.
Il Secondo Ventennio Repubblicano, 1996-2016, quello del piemontese Ezio Mauro, è stato all’insegna dell’antiberlusconismo, anche se nella corte dell’ex Cavaliere ha sempre risparmiato la colomba Gianni Letta, titolare di buoni rapporti con l’Ingegnere. Pure Mauro proveniva dalla Stampa ma la retorica hemingwayana del “posto pulito e bene illuminato”, tipica del quotidiano moderato della famiglia Agnelli, fu subito archiviata a favore di una narrazione, oggi si dice così, azionista-piemontese, depositaria della lezione gobettiana (“una certa idea d’Italia”) nonché di quella di Norberto Bobbio. E non priva di ambizioni ontologiche, come la Repubblica delle Idee, la kermesse del quotidiano.
L’era Calabresi come inizierà? Quale sarà lo scatto rispetto al “posto pulito e bene illuminato” di Torino? Di nascita e formazione milanese, con solidi agganci nel mondo cattolico, in particolare ciellino, l’orizzonte di Calabresi può coincidere con quello renziano del Partito della Nazione. Un centrismo del terzo millennio propedeutico alla vocazione maggioritaria del Pd. Una nemesi democristiana per il quotidiano più libertino e libertario del Paese. Sempre che il presunto solco governativo della Terza Direzione continui a essere bilanciato dalle omelie domenicali del Fondatore.