Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2015
Pechino ha parecchi problemi con le regole del mercato
Ogni repulisti ha un costo, in Cina. Lo dimostra il contraccolpo di ieri in Borsa alle indagini sui broker condotte dall’autorità di vigilanza.
All’indomani delle performance negative dell’estate scorsa molte società di brokeraggio in odore di mosse quantomeno sospette si erano salvate aderendo alla richiesta del Governo di entrare forzosamente nel capitale di un neonato fondo di salvataggio degli indici di borsa in picchiata. Come dire: sappiamo chi è stato, ma prima di tutto bisogna rimettere in sesto le cose e, quindi, fate la vostra parte acquistando azioni.
Ma la ricerca di regole del mercato non può più essere procrastinata, Pechino deve prendere atto della fragilità del sistema e del fatto che certi reati largamente identificati e di conseguenza puniti in Occidente, in Cina faticano ad essere perfino messi a fuoco e tutte le volte che l’autorità di vigilanza muove le pedine c’è sempre una reazione violenta dell’intero sistema.
Esiste una forma di allergia generalizzata nei confronti di operazioni trasparenza, quando il Governo palesò il divieto di usare l’emissione di corporate bond per finanziare debiti in scadenza, le borse reagirono molto male. La richiesta rivolta alle banche di chiarire la quota speculativa delle proprie attività suscitò un’ondata di malumori.
Ieri Pechino ha dovuto vietare un’altra pratica accettata ma altamente malefica, l’utilizzo di fondi della clientela per finanziare il trading. E la borsa ha risposto altrettanto male. In una piazza altamente speculativa avvezza a sfruttare tutti i sistemi possibili e immaginabili per trarre profitto riportare il gioco sui giusti binari non è facile, ma se nel piano quinquennale la riforma dei mercati finanziari viene messa al centro, vorrà dire che crolli come quello di ieri saranno all’ordine del giorno.