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 2015  novembre 28 Sabato calendario

Le aziende italiane tornano in Iran

L’obiettivo è tornare ai sette miliardi di interscambio raggiunti prima che scattassero le sanzioni. Con l’addio alle restrizioni economiche imposte all’Iran, l’Italia si candida a tornare in forze nell’importante Paese mediorientale, un mercato di grande interesse, forte dei suoi quasi ottanta milioni di abitanti, la metà dei quali sotto i trent’ anni, con alti livelli di istruzione, il 60 per cento dei laureati donne, una «fame» diffusa di beni di consumo e di infrastrutture di ogni genere.
Ecco perché la missione economica guidata dal viceministro Carlo Calenda e dalla vicepresidente di Confindustria, Licia Mattioli, che questo fine settimana porta a Teheran 370 imprenditori, ha obiettivi molto ambiziosi. Come racconta il presidente dell’Ice, Riccardo Monti, sono previsti almeno 700 incontri con potenziali partner iraniani.
«L’Iran ha bisogno di costruire nuove infrastrutture, ponti, autostrade e case – spiega Licia Mattioli -. Nei prossimi anni gli iraniani avranno bisogno di 4 milioni di unità abitative. Il mercato dell’auto passerà da 1,5 a 2 milioni di vetture l’anno. Ma non mancano le opportunità per chi costruisce macchinari e per chi si occupa di tecnologie “verdi” e di biomedicale».
Il settore economicamente più rilevante è ovviamente quello del petrolio, dove il soggetto coinvolto al massimo livello è l’Eni. Il Cane a sei zampe sbarcò in Iran nel lontano 1957, ai tempi del mitico Enrico Mattei, il cui ritratto campeggia ancora oggi negli uffici di Teheran della Nioc, la compagnia petrolifera di Stato. Da allora l’Eni ha messo a segno colpi importanti, ma le sanzioni hanno di fatto bloccato ogni sviluppo.
L’ad Claudio Descalzi aspetta la revisione del sistema contrattuale e l’effettiva uscita del Paese dalle sanzioni, nonché una soluzione, che appare ormai vicina, in merito agli 800 milioni di arretrati dovuti dalla Nioc. Una bozza di memorandum di intesa per l’espansione della cooperazione bilaterale nel campo delle perforazioni petrolifere con la National Iranian Drilling Company sarebbe già stato firmata.
Il report della Sace
Secondo uno studio della Sace, la fine delle sanzioni a Teheran, seguita all’accordo sul nucleare, potrebbe portare a un incremento dell’export italiano nel Paese di quasi 3 miliardi di euro nel quadriennio 2015-2018, con le migliori opportunità nei comparti della meccanica strumentale, dell’oil and gas e dei trasporti. Dal 2006, quando l’ammontare dell’interscambio fra Roma e Teheran ammontava a 7,2 miliardi di dollari l’anno, l’Italia ha perso molte posizioni, pur rimanendo il nono Paese esportatore verso l’Iran. La voglia di recuperare il terreno perduto c’è, ma ora bisogna affrontare chi nel frattempo ha occupato la scena: prima di tutto la Cina, che si è ormai conquistata un ruolo da protagonista.
L’interscambio Italia-Iran ha subìto una forte contrazione a causa delle sanzioni internazionali. Il crollo dell’import iraniano dopo il 2011 è diretta conseguenza del blocco al commercio di petrolio che rappresentava oltre il 90% delle importazioni italiane dal Paese mediorientale. Dal 2011 a oggi il petrolio esportato dall’Iran si è dimezzato (da 2,6 a 1,4 milioni di barili al giorno). Dalla sola Ue si è avuta una minore domanda per quasi 600 mila b/g. Nel 2014 l’export italiano ha raggiunto un valore di 1,16 miliardi di euro, in aumento del 9% rispetto al 2013. Tra le voci principali dell’export made in Italy vi sono la meccanica strumentale, i prodotti chimici e siderurgici. Le importazioni si sono invece fermate a 440 milioni di euro, una cifra pari a solo l’8% di quanto raggiunto nel 2011.
Corsa alle infrastrutture
Un altro comparto ricco di opportunità è l’automotive. L’Iran ha la necessità di rinnovare un parco circolante (14 milioni di unità) molto vecchio. In prima linea per il ritorno nel Paese ci sono le francesi Psa e Renault, già presenti con vecchie joint venture. Anche i trasporti offrono buone prospettive di domanda. Le sanzioni che vietano al Paese di acquistare aerei occidentali fin dagli Anni 70 hanno contribuito a creare una flotta aerea antiquata e di scarsa qualità. L’Iran ha annunciato che una volta tolte le sanzioni partirà il rinnovo: nei piani c’è l’acquisto di 400 aerei. Pochi giorni fa Vladimir Putin, nel corso della sua visita a Teheran, ha «piazzato» 100 Sukhoi Superjet, nell’ambito di accordi commerciali per 21 miliardi di dollari. Stesso discorso per treni e ferrovie. Numerosi costruttori inglesi e francesi sono alla porta per l’ampliamento e il rinnovo della rete. Ma anche qui le aziende italiane possono dire la loro. Tra i settori dove gli italiani possono fare business spiccano le autostrade, l’alta velocità, l’ambiente, le rinnovabili, la meccanica, i materiali edili, il medicale, ma anche elicotteri, navi, servizi finanziari, gioielleria, pelletteria, food.
I problemi non mancano, nonostante i tentativi di sburocratizzare il Paese e di combattere la diffusa corruzione. Bisogna fare i conti con la «Pasdaran Economy». Le Guardie della Rivoluzione hanno ottenuto nel corso degli anni lo sfruttamento di importanti giacimenti di gas e petrolio. Attraverso le «Bonyad», le Fondazioni, controllano attività industriali e commerciali valutate 120 miliardi di dollari. Le «Bonyad», che hanno fini istituzionali caritatevoli e di assistenza senza rinunciare ai profitti, sono considerate la spina dorsale del potere, un mix di clientela e welfare che coinvolge milioni di iraniani. Anche da lì si deve passare.