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 2015  novembre 25 Mercoledì calendario

La ragazza che ha trovato un modo per fare gli esami del sangue senza prelevare il sangue. Un’idea da 9 miliardi di dollari

Elizabeth Holmes fonda Theranos nel 2003 quando ha 19 anni ed è al secondo anno di università a Stanford. Come prima di lei Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg, abbandona l’istruzione accademica. Lascia ingegneria chimica, comincia a registrare brevetti (cercandola sul United States Patent and Trademark Office escono 89 domande) e si dedica alla sua azienda, con una promessa: la fine degli esami del sangue come li conosciamo. Addio odiati aghi (l’unica cosa al mondo che le fa paura, ammette), addio provette: ne basta una goccia. Costi bassi, accessibilità diffusa (un accordo con la catena di farmacie Walgreens in saccoccia), retorica da leader utopista che fa la storia: «Abbiamo un sogno: rilevamenti precoci e prevenzione». Se la gente si controlla di più riesce a evitare maggiormente le malattie. Come Elon Musk prima di lei si è battuto per poter vendere direttamente al consumatore le sue Tesla elettriche, anche lei si batte per cambiare la legge in Arizona, dove Theranos è più presente, per il diritto dei cittadini di richiedere i propri esami del sangue senza passare dal medico. Una rivoluzione.
Quando il Wall Street Journal a metà ottobre ha sbattuto la sua Theranos in prima pagina non per celebrarne il potenziale ma per sollevare dubbi sull’affidabilità degli esami del sangue che offriva e sull’uso della sua tecnologia “nativa” solo per un test, Elizabeth Holmes si è presa un bel colpo. La buona stampa di cui aveva goduto dall’anno scorso era finita: cominciava l’era di The Theranos Mess. Il T Magazine del New York Times, che dopo Forbes, Fortune, Inc., era stato l’ultimo a magnificarla in una delle sue copertine del numero dedicato a the greats – i grandi, i visionari contemporanei era stato costretto ad aggiornarne il profilo online con le ultime controversie del caso.
Elizabeth Holmes si è esposta al fuoco di fila delle domande dei giornalisti prima su Cnbc, poi sulla tv del Wsj, poi al Fortune Global Forum. Ha indossato come sempre la sua «uniforme» nera d’ordinanza che ricorda, ancora, quella di Steve Jobs: ballerine, tailleur a Pantalone e dolcevita nero scelto per semplificarsi la vita e poter rimanere concentrata; quello stesso che Maria Shriver ha faticosamente indossato in suo onore intervistandola ai primi di ottobre al Vanity Fair New Establishment Summit: «Mio Dio è così complicato trovare un dolcevita a Los Angeles!». Elizabeth se ne è separata solo quest’anno, sul tappeto rosso della festa delle 100 persone più influenti di Time in cui era ovviamente inclusa.
Nel processo purificatorio dopo il discredito, è scesa nei dettagli, sempre in prima persona plurale: dispositivi, software, chimica, uso del nanotainer (la mini-fiala che contiene le poche gocce di sangue). Ha spiegato che Theranos ha sottoposto volontariamente i propri protocolli di analisi del sangue alla Food and Drug Administration, l’agenzia governativa americana che regolamenta prodotti alimentari e farmaceutici. Ha avuto il via libera a luglio per il test che individua l’herpes, ma per gli altri 240 non ancora. Per questo non ha potuto usare la sua tecnologia. Si sta uniformando agli standard Fda – che l’ha visitata a sorpresa a fine estate – questo è il problema.
Durante gli incontri pubblici, la bionda Elizabeth della porta accanto, la ragazza che ha studiato cinese durante l’adolescenza a Houston (dopo essere vissuta in Cina per il lavoro del padre), che non esce, non flirta, non è mai andata in vacanza negli ultimi dieci anni, si dichiara vegana e si concede al massimo qualche corsa, annuisce con la testa in continuazione. Si ferma solo quando fissa il vuoto e inizia a parlare della sua visione, della sua rivoluzione, del diritto di ciascuno a conoscere il proprio sangue. L’attacco del Wsj viene blandito: «Succede quando lavori per cambiare le cose: prima ti prendono per matto, poi ti combattono, poi improvvisamente cambi il mondo».
Elizabeth Holmes non è la miliardaria più giovane al mondo come la classifica di Forbes ci ha fatto credere: è proprietaria di metà di Theranos, valutata 9 miliardi di dollari. Ma solo in caso di vendita. Il capitale raccolto dovrebbe aggirarsi sui 700 milioni (con Larry Ellison di Oracle tra i finanziatori). Elizabeth Holmes è soprattutto una visionaria. Affascinata dalla forza del fare qualcosa di mai tentato prima. Dal perfetto copione da Silicon Valley che ha vissuto. Dal sogno più forte della realtà. Ma mai nessuno dalle parti di Palo Alto, dove ha sede Theranos, si era spinto a tanto: a toccare la salute.
Prima della bomba sganciata dal Wsj, avevano destato sospetto la segretezza spinta dell’azienda in contrasto con la pratica medica diffusa di pubblicare i risultati delle ricerche per discuterli nella comunità scientifica, e la presenza nel board of directors degli ex segretari di Stato Henry Kissinger e George Shultz, declassati con l’ex segretario della Difesa William J. Perry e l’ex senatore Sam Nunn a consulenti. James Mattis, generale dei marines in pensione che sostituì Petraeus in Iraq e Afghanistan, rimane invece director.
Della sua biografìa, si sa che Elizabeth Holmes è nata a Washington DC dove suo padre lavorava per la United States Agency for International Development e sua madre era una dipendente del Congresso. I cortocircuiti politici ritornano quanto la si vede partecipare al Forum di Davos o agli eventi della Clinton Global Initiative. Come le fa notare Maria Shriver, una volta era la politica il posto dove andare per cambiare il mondo. Elizabeth risponde: «Sono cresciuta in una famiglia che era nell’amministrazione pubblica e vedevo così spesso persone con le migliori intenzioni bloccate nella burocrazia, incapaci di modificare le cose, non importa quanto brave fossero. Nel fondare un’azienda, specialmente nella Silicon Valley, si realizza l’opportunità di portare un gruppo di persone intorno a un tavolo a prendere una decisione, a fare le cose e that’s it. Così si può creare una tecnologia che faccia del bene e che cambi profondamente il mondo». Ora quella tecnologia, insieme alla sua inventrice, è alla dura prova della realtà.