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 2015  novembre 25 Mercoledì calendario

Parlando con il Fatto Ignazio Marino fa sapere che si ricandiderà e si toglie qualche sassolino dalla scarpa

«Mi rifiuto di credere che il Pd cambi le regole in corsa per le primarie, che impedisca a qualcuno di candidarsi e che tutti gli altri debbano applaudire il prescelto del Capo». L’ex sindaco non esclude affatto di ricandidarsi alle primarie del Pd per ritornare in Campidoglio: «Le idee non si fermano».
Che effetto le ha fatto vedere il prefetto Tronca con la fascia tricolore, il 1° novembre, inchinarsi a Bergoglio al Verano?
«Avrei gradito poter indossare ancora la fascia tricolore il 5 novembre, mi spiace non averlo potuto fare in rappresentanza dei romani, alla prima udienza del processo a Mafia Capitale».
Ha più sentito Bergoglio?
«No, ma sono certo che la vita offrirà occasioni di ulteriori dialoghi che sono sempre stati sinceri e importanti, anche sul piano umano».
Pare che un ruolo contro di lei, in ambienti vaticani, l’abbia svolto monsignor Vincenzo Paglia…
«Fui molto stupito delle sue parole contro di me, carpite in diretta e in modo scorretto dal finto Renzi della trasmissione radiofonica La Zanzara (“ha fatto infuriare papa Francesco”, “nel viaggio a Filadelfia si è imbucato”, ndr). Mesi prima fu proprio monsignor Paglia a preannunciarmi la visita del sindaco di Filadelfia Michael Nutter e dell’arcivescovo Joseph Chaput. Monsignor Paglia, insomma, non ignorava l’invito che ricevetti a recarmi negli Stati Uniti».
È stata più letale la pugnalata di Bergoglio (“Non ho invitato io il sindaco di Roma a Filadelfia”) o le 26 di Renzi (il numero dei consiglieri capitolini che si sono dimessi dall’Assemblea)?
«Quella di Bergoglio non è una pugnalata, non provo nessun risentimento e non commento. C’era un disegno, nel quale papa Francesco non è coinvolto, di rimuovere Marino affinché un premier, contemporaneamente segretario del Pd (che già aveva allontanato Enrico Letta da Palazzo Chigi), diventasse anche sindaco della Capitale… Sono sicuro che lui vorrebbe fare anche il sindaco di Milano, Napoli e magari Torino. Non riesco a capire i motivi per cui un premier possa rifiutarsi di parlare col sindaco di Roma quando, il 2 dicembre di un anno fa, scoppia il caso Mafia Capitale. E, ancora, si rifiuta quando diventa prioritario occuparsi dell’organizzazione di un evento come il Giubileo».
Perché secondo lei?
«Ho capito dopo che il problema ero io, dal momento che oggi Renzi, invece, ritiene che il Giubileo sia un argomento da trattare personalmente e legislativamente. Il giorno del mio addio al Campidoglio ho fatto l’indovino, annunciando che sarebbero comparsi centinaia di milioni di euro da Palazzo Chigi per il Giubileo appena me ne fossi andato. Mentre il 27 agosto il sottosegretario De Vincenti e il ministro Alfano annunciavano al termine del Consiglio dei ministri che non sarebbe arrivato un euro dal governo, ma ero ancora sindaco io».
Ha sbagliato a fidarsi di Matteo Orfini, commissario del partito romano?
«Certo il mio percorso professionale e accademico è diverso da quello di Orfini. Matteo Orfini ha fatto politica da quando era un ragazzo: ha assunto posizioni di crescente responsabilità da segretario di sezione, a segretario di Massimo D’Alema, e attualmente è il presidente del Pd. Come facevo a non fidarmi di lui? Oggi Orfini dice, ad esempio, che è colpa di Marino se i Tredicine risultano vincitori del bando per le bancarelle in piazza Navona nelle festività natalizie. Con l’ex sindaco quei signori sono stati cacciati, ma ora che Marino non c’è più e tornano è colpa di Marino. E non è la cosa più grave».
Qual è la cosa più grave?
«Ci manca solo che spieghino alla città la necessità di riaprire Malagrotta, la discarica che io ho chiuso in novanta giorni dopo 50 anni di apertura. C’era un progetto di intesa tra Acea, l’azienda dei rifiuti, e la Regione Lazio, per diminuire il carico di immondizia portata al Nord e rendere più efficienti inceneritori già presenti nella Regione Lazio, aumentandone la capacità. Improvvisamente, va via Marino, e tutto si blocca. Avrebbe diminuito le spese e non di poco, rendendo Roma più autonoma. Invece ritorna in auge una persona come Manlio Cerroni che può permettersi di invitarmi, sul Tempo, a tornare a occuparmi di trapianti, mentre alla monnezza ci torna a pensare lui. E il Pd che dice? Niente. E c’è altro: con la scusa del Giubileo proveranno anche a rinviare il voto di un anno, a lasciare il commissario fino al 2017».
Ha notizie precise in merito a questi due fatti?
«Vedremo…».
Fabrizio Barca l’ha criticata aspramente dopo il suo addio forzato…
«Ha fatto un’indagine sullo stato del Pd romano senza mai interrogarmi. Non parliamo da tre anni».
Qualcuno le ha chiesto raccomandazioni?
«Io chiedevo profili di persone all’altezza per aziende di valenza locale e nazionale, ma arrivava tutt’altro».
Tipo Coratti vicesindaco?
«Mirko Coratti, prima dell’arresto del 2 dicembre, ci teneva molto. Lo avessi fatto mi sarei dovuto dimettere un anno prima. Poi c’era la raccomandazione fortissima per tenere Giovanni Fiscon all’Ama, ogni volta che sollevavo la questione partiva il fuoco di sbarramento: ho perso quella battaglia, poi ci ha pensato il procuratore Giuseppe Pignatone».
Il suo errore più grande?
«Non aver alzato abbastanza la voce su antiche inefficienze della città, come i binari della metro non sostituiti da 40 anni. E neppure sul piano di 917 milioni di euro per le opere del Giubileo che ho messo a punto ma sbattendo contro un governo silente. Sono contento, però, di aver stretto le maglie, grazie all’assessore Sabella, per cacciare il malaffare dal Campidoglio».
Ha letto degli scontrini di Renzi sindaco di Firenze negati al controllo…
«Io ho pubblicato tutto, non ho avuto nulla da nascondere e ho piena fiducia nella magistratura. Forse se Renzi fosse ancora sindaco farebbe allo stesso modo e pubblicherebbe tutto sul sito del Comune, voglio pensare che non essendolo più non possa farlo».
Col presidente Mattarella ha mai parlato?
«Sì, ma non negli ultimi mesi».
E col presidente emerito Napolitano?
«Mi onoro di una frequentazione iniziata ai tempi della mia elezione al Senato e di approfondite discussioni sui temi della bioetica, sulla condivisione di battaglie come quella per Piergiorgio Welby e Eluana Englaro».
Alfio Marchini piace sia a qualcuno nel Pd sia a Berlusconi come sindaco?
«Abbiamo volato alto, non precipitiamo così in basso…».
Dicono che adesso lei ha contatti con Romano Prodi e Massimo D’Alema.
«Ho stima per Prodi ma non lo sento da almeno due anni. A D’Alema mi lega un sincero rispetto anche quando abbiamo idee diverse, ci siamo sentiti anche recentemente e mi ha detto che uscivo dalla vicenda di Roma a testa alta».
Resta nel Pd? O pensa a Sinistra italiana?
«Credo in un sistema con due schieramenti, conservatore e riformista. La frammentazione danneggia la sinistra, ma capisco gli esasperati perché nel Pd la democrazia è sospesa… ma non bisogna commettere l’errore di considerare il Pd quello dei capibastone: il Pd è quello dei milioni di persone che credono nella discussione democratica e io penso a loro».
Si ricandida alle primarie?
«Rifletto. Ho visto persone venire in piazza del Campidoglio per chiedermi di ritirare le dimissioni, un fatto inusuale e nuovo, di solito si va in piazza per cacciare qualcuno».
La mossa contro Bassolino a Napoli potrebbe riguardarla?
«Mi rifiuto di credere che il Pd di Renzi possa imbrigliare le primarie».
Insomma, si ricandida?
«Me lo può chiedere altre dieci volte ma la risposta sarà sempre la stessa. Rifletto. Le idee non si fermano, il cambiamento non si può fermare».