Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 25 Mercoledì calendario

Se ognuno fa la sua guerra, al Baghdadi potrebbe dire la sua nella spartizione dell’Iraq e della Siria. Un’ipotesi realistica

È ora di gettare la maschera. Se nel Levante ognuno fa la sua guerra Al Baghdadi potrebbe persino dire la sua nella spartizione dell’Iraq e della Siria, un’ipotesi improponibile adombrata dalla Bbc ma non così remota se ciascuno vuole portarsi a casa un pezzo di Medio Oriente. Non sarebbe la prima volta: gli inglesi con Lawrence fomentarono una celebre rivolta araba per poi spartirsi la regione con i francesi. Ma questa volta né gli arabi anti-Isis né gli iraniani sono disposti a fare la fanteria dell’Occidente.
Tutto per un semplice e tragico motivo. Nel 2011, anno delle primavere arabe, la rivolta in Siria si è trasformata quasi subito in una guerra per procura che partiva da un calcolo sbagliato delle potenze sunnite e dell’Occidente: che Bashar Assad sarebbe stato sbalzato dal potere in pochi mesi con una spinta esterna.
Seguito da un altro non meno grave: che potesse restare in sella con un sostegno limitato dei suoi alleati, Russia e Iran, ora impegnati a combattere una battaglia a tutto campo. Hanno investito in Assad e non lo vogliono mollare. Sarà interessante vedere cosa si diranno domani Hollande a Putin: la Francia era d’accordo per buttarlo a mare, oltre Latakia.
Da questi errori di calcolo ne è derivato un altro: che le milizie islamiche sarebbero ricadute sotto il controllo di chi le sponsorizzava, Turchia e monarchie del Golfo. Ma i jihadisti sono confluiti nell’Isis, la cui intuizione strategica è stata quella di unire il campo di battaglia iracheno a quello siriano.
Non bastava ancora: si è pensato che il Califfato potesse essere manovrato nella guerra tra sunniti e sciiti per disegnare nuovi confini ed equilibri. E ora che i jihadisti hanno portato il terrorismo in Europa, Turchia compresa, i leader protagonisti di questo disastro geopolitico e umanitario, con implicazioni travolgenti per la nostra sicurezza, reagiscono in maniera sconcertante per difendere dei calcoli sbagliati.
La Francia è alla ricerca di alleati per una coalizione che non si trova. In realtà esisterebbe già: è quella guidata dagli Stati Uniti. Ma non ha combinato granché. Al punto che quando Putin è sceso in campo sembrava fosse il dio della guerra: eppure le esangui truppe del regime, ormai guidate da Pasdaran iraniani ed Hezbollah libanesi, non fanno passi avanti.
Tanto però è bastato a fare perdere la testa a Erdogan, punto sul vivo da Putin nel cortile di casa, e ai suoi alleati del Golfo, che comunque qualche cosa da rimproverare agli Stati Uniti e agli europei ce l’hanno. Si sentono traditi. La Siria, a maggioranza sunnita, doveva essere l’ambito premio per avere perso l’Iraq nel 2003 con l’intervento americano contro Saddam. Allora la Turchia rifiutò il passaggio delle truppe Usa, applaudita dalla stessa Russia.
Prima l’accordo sul nucleare con l’Iran, poi l’alleanza tra Mosca e Teheran e ora l’ipotesi che la Francia e gli europei concordino con Putin e gli ayatollah la strategia anti-Califfato: è troppo da sopportare per un fronte sunnita passato da una sconfitta all’altra. E che non ha mai perdonato agli Stati Uniti di avere consegnato l’Iraq all’influenza dell’Iran.
Gli americani sono così coscienti dell’errore di Bush junior che nel giugno dell’anno scorso hanno guardato senza fare una piega il Califfato conquistare Mosul, città di due milioni di abitanti, e arrivare a una trentina di chilometri da Baghdad. Come dire ai sunniti: accomodatevi pure e vendicatevi.
Si chiama politica Usa del “doppio contenimento” e ha già portato a diversi disastri: negli anni’80 alla guerra Iran-Iraq (un milione di morti) e a uno degli equivoci storici più sconcertanti, quando nell’estate del 1990 l’ambasciatrice Usa a Baghdad, April Glaspie, incontrando Saddam diede un implicito via libera all’occupazione del Kuwait. “Non potevamo sapere che gli iracheni si prendessero “tutto” il Kuwait”, fu la sua giustificazione. Sostituite Kuwait con Siria e avete l’equazione con il Califfato.
Per evitare nuovi equivoci l’Europa dovrebbe far sentire la sua flebile voce per combattere l’Isis a una Turchia che, tenuta fuori dalla Ue, ama i ricatti, a una Russia sempre più vorace, a un mondo sunnita cui è legata da affari miliardari, a un’America che ci chiede di pagare i conti della Nato. Ma forse è sperare troppo che si getti la maschera: vorremmo che fossero gli altri a combattere per i nostri valori e interessi.