Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 25 Mercoledì calendario

Nessuno se n’è accorto, ma è stata depositata la sentenza che chiude per sempre il caso Parmalat. Ci sono voluti 12 anni

Si è chiuso così il crac Parmalat: lontano da quei clamori con cui era scoppiato nel lontano dicembre del 2003 e con un consunto timbro della Corte di Cassazione su una sentenza, l’ultima, depositata pochi giorni fa. Dodici anni lunghissimi in cui la Parmalat ha fatto in tempo a risorgere il 6 ottobre del 2005 in Borsa, raccogliere miliardi nelle transazioni con le banche, ripagare molti obbligazionisti con rimborsi superiori al 50 % (un risultato che nemmeno i grandi crac americani possono vantare) ed essere scalata dai francesi di Lactalis. Tecnicamente quello della Corte di Cassazione è l’atto conclusivo con cui si chiudono le ultime 16 società di quella composita galassia di 69 compagnie che avevano causato quello che ancora oggi, con una voragine di 14 miliardi, è il più grande crac della storia europea.
Il concordato è così passato in giudicato, anche se, a volere fare i pignoli, restano aperti i due rami extra-latte del crac: quello del turismo con le sei società del settore da cui Calisto Tanzi “distraeva” fondi – la più famosa è Parmatour – e quello del calcio, altro epilogo infelice di un’era di bilanci gonfiati con steroidi e gestioni creative (rimane agli atti la lettera di credito da centinaia di milioni di euro che superò tutti i controlli bancari ma che era fatta con il copia e incolla di Word). Proprio per questi ultimi strascichi il risanatore della Parmalat, Enrico Bondi, a cui va riconosciuto di avere ricostruito pezzo dopo pezzo un’industria che sembrava destinata alla tomba, rimarrà ancora commissario straordinario. In particolare il ramo del pallone – il Parma, prima del crac, aveva raggiunto livelli altissimi – resta il caso con maggiore incertezza temporale.
Resta il fatto che con la sentenza attuale finisce l’epopea del latte Uht, un sogno ipertrofico di ricchezza che è costato il posto a generazioni di collecchiesi e soldi agli azionisti che non hanno mai visto l’ombra di un quattrino. Oggi è difficile ricordarsene, ma la Parmalat era una delle nostri grandi multinazionali, conosciuta dal Sud America fino al Sud Africa e all’Australia, tanto da essere citata anche nel documentario canadese «The corporation» sullo strapotere delle grandi società. Per ironia della sorte il documentario uscì poche settimane prima del crac. Che ora è storia.