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 2015  novembre 25 Mercoledì calendario

Ecco perché Erdogan e Putin si fanno la guerra

Il Sultano e lo Zar duellano in Medio Oriente: con l’abbattimento del Sukhoi 24 russo da parte degli F16 turchi sul confine siriano la sfida fra Recep Tayyp Erdogan e Vladimir Putin sulla sorte di Bashar al Assad adesso rischia di degenerare in scontro militare fra Stati [sul jet abbattuto leggi anche Il fatto del giorno].
Quando a fine settembre il ponte aereo russo crea attorno a Latakia le basi teste di ponte per l’intervento a sostegno del regime di Bashar Al Assad, i primi colpi di mortaio che cadono arrivano dalle postazioni di Ahrar al-Sham, i ribelli armati e addestrati da Ankara. Sono le avvisaglie di un teatro di operazioni che vede russi e turchi su fronti opposti. I raid di Mosca vogliono aprire la strada all’avanzata di terra di siriani, iraniani ed Hezbollah attraverso la provincia di Idlib, in direzione di Aleppo, ovvero la regione presidiata da Jaish al-Fatah, la coalizione di ribelli islamici creata in maggio con un accordo fra Ankara e Riad. Le forze russe sono il tassello più importante della coalizione pro-Assad, i turchi sono l’alleato-chiave dei ribelli più pericolosi, a cui fanno arrivare rifornimenti e armi come i missili anti-tank Tow.
Disaccordo a Vienna
Quando a fine ottobre si svolge a Vienna la prima seduta del Gruppo di Contatto «speciale» sulla Siria attorno al tavolo i ministri saudita e turco fanno scintille con l’iraniano Javad Zarif. L’americano John Kerry fatica per scongiurare il collasso della seduta, ma l’esito apparentemente positivo cela la fotografia della crisi: Ankara e Riad non accettano compromessi sulla fuoriuscita di Assad, a cui Teheran, sostenuta da Mosca, si oppone. Il compromesso mediato da Kerry, con il consenso del russo Sergei Lavrov, sulla transizione – cessate il fuoco e nuove elezioni in sei mesi – non accontenta Ankara perché pur prevedendo l’uscita di scena di Assad non esclude che possa indicare un suo candidato.
Sgambetto al G20
Attriti militari e disaccordi politici trasformano Putin e Erdogan nei protagonisti della coalizioni concorrenti in Siria ed è il G20 di Antalya a mettere in evidenza. Avviene nell’ultima giornata dei lavori quando Putin mette i leader davanti alla lista dei cittadini di 40 Paesi che inviano aiuti finanziari allo Stato Islamico. I turchi sono numerosi. È uno sgambetto a Erdogan nel summit che ospita: una sfida recepita alla stregua di offesa personale. Erdogan sa bene che il 60 per cento del gas nazionale arriva da Mosca, ma accettare lo smacco significherebbe uscire ridimensionato. La contromossa sono le accuse ad Assad di «acquistare greggio da Isis» finanziando i jihadisti per rafforzare un nemico contro il quale si batte per ritrovare legittimità. L’affondo ha per obiettivo Mosca, che copre Assad.
Esodo dei turkmeni
Erdogan vede in Putin una doppia minaccia: sul piano militare vuole salvare Assad e su quello politico sta costruendo, dopo il massacro di Parigi, un’alleanza militare anti-Isis con la Francia di François Hollande capace di portare a un’intesa tattica con la Nato che relega in un angolo la Turchia. Tantopiù che Lavrov (che ha annullato la visita ad Ankara prevista per oggi) non perde occasione per esprimere sostegno ai curdi.
Per scompaginare i piani del Cremlino, Erdogan va all’attacco lì dove gli europei sono più sensibili: l’emergenza umanitaria. È nel weekend appena trascorso che Ankara accusa i jet russi di «attacchi sulle popolazioni turcomanne in Siria» con il risultato di spingere alla fuga «almeno 40 mila persone» mille delle quali già in territorio turco. I turcomanni nel Nord della Siria sono l’etnia più fedele ad Ankara. Il jet Sukhoi-24 abbattuto cade sulle montagne che popolano e i piloti, vivi o morti che siano, sono nelle mani dei loro gruppi armati.
Rivalità strategica
Alla radice di tali contrapposizioni fra Erdogan e Putin ci sono i rispettivi progetti strategici che ruotano entrambi attorno ad Assad, ma con ambizioni regionali opposte. Ankara vuole rovesciare il Raiss per trasformare la Siria in uno Stato sunnita guidato da gruppi islamici portatori dell’ideologia dei Fratelli Musulmani, che coincide in gran parte con la piattaforma del partito Akp di Erdogan, al fine di generare una sfera di influenza neo-ottomana nel Medio Oriente segnato dall’implosione degli Stati arabi. Ovvero gettare le basi di un Sultanato di Erdogan sulla regione. Putin invece vuole salvare Assad per ottenere una vittoria, politica e militare, capace di assegnare alla Russia un ruolo da Zar del Medio Oriente sfruttando l’indebolimento Usa. Ciò spiega perché Putin ha fatto coincidere l’intervento in Siria con accordi con tutti gli attori limitrofi: Iran, Iraq ed Hezbollah libanesi sono alleati mentre con Israele ha una cooperazione militare che la Giordania vuole ora imitare. Unica eccezione: la Turchia, rivale strategico al punto da rischiare di diventare nemico militare. In un conflitto fra Stati che può ruotare attorno a due coalizioni, i fedeli del Sultano contro gli alleati dello Zar.