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 2015  novembre 24 Martedì calendario

Due fragili ottantenni presi per possibili terroristi. Al confine con la Francia

Sabato 21 novembre, colle del Tenda. Ora tocca a noi: la lunga coda di auto, di cui occupo gli ultimi posti, può attraversare il tunnel, quando usciremo sarà Francia, Regione Provence-Alpes- Côte d’Azur. D’improvviso, la coda rallenta, percorriamo il tunnel a passo d’uomo, all’uscita scopriamo il perché: una donna e un uomo, con i simboli della Gendarmerie francese, in pieno assetto di guerra (mi ricordano le prime serie di Star Trek, con i fucili al plasma), stanno sottoponendo autista e passeggeri di ogni auto a una visita fisiognomica volante, lo fanno al ritmo della linea di montaggio di Mirafiori anni ’50. Visti da lontano, fisiognomicamente, a me i gendarmi sembrano due sanculotti, scelti dal giacobino Hollande, hanno gesti efficienti, dalle mossette che fanno si capisce che sono volute. Sono tranquillo, la mia auto, un Audi Q3, targata Svizzera, ha pochi mesi, è Euro 6 (quindi non taroccata come le Euro 5), l’ho appena fatta lavare, solo ora mi accorgo con raccapriccio che è nera, il colore dell’Isis. Comincio a preoccuparmi, che idiota sono stato, che mi è saltato in mente stamattina di indossare una dolce vita nera? Per non insospettire i due sanculotti, mi sfilo gli occhiali da sole, assumo un’aria disinvolta che non mi è propria, guardando in viso il gendarme (uomo) capisco che ce l’ho fatta, per lui sono solo un vecchio, non rappresento un pericolo, mi rilasso. Due metri dopo, incontro lo sguardo della gendarme (donna), in un baleno capisco che non gli sono piaciuto. Eppure siamo una coppia di fragili ottantenni, di solare mitezza, siamo appena usciti dal buio del tunnel, l’intensa luce novembrina ferisce i nostri occhi stanchi.
La paura mi attanaglia, cerco di ricordare cosa abbiamo in valigia, certo non armi, non giubbotti anti proiettile, non tute mimetiche, i soliti scialli di lana, pancere, guaine, ginocchiere, papaline, poi medicine, tante. Spero che non confonda l’aspirinetta della Bayern con il Captagon, l’anfetamina targata Isis: sono simili. Nella borsa frigo ho due splendidi filetti fassone sottovuoto, potrebbero essere scambiati per panetti di Semtex, l’esplosivo al plastico color arancio? Che devo fare? Nascondere il reale, esibire il falso? È una bella frase, non ricordavo di chi fosse, invece secondo internet è mia, l’ho usata in una intervista fatta all’amico Stefano Lorenzetto, il web l’ha registrata, assegnandomela. Ci sono una quarantina di auto, un centinaio di persone dalle vite più diverse, perché dovrebbero fermare proprio noi? Possibile che l’algoritmo della fisiognomica indichi il nostro profilo come quello che più si avvicina all’islamico criminale?
Invece, la sanculotta ci blocca, controlla minuziosamente il mio passaporto, chiede se l’auto è mia (sì), dove abito, dovrei dire Paradiso, Svizzera, ma la prudenza mi blocca, non vorrei che lo associasse alle Uri, le fanciulle vergini del paradiso islamico destinate a combattenti come Salah, opto per Lugano. Lei aggrotta la fronte, si fa ripetere il nome, non le dice nulla, provo con Luganò, aggiungo lago Ceresio, niente, desiste (brava in fisiognomica, scadente in geografia?). Alla fine, entro in Francia, sono stanchissimo, la tensione mi ha prosciugato, mai avrei immaginato di essere nato e vissuto cattolico per 80 anni, e ora scambiato per un islamico, potenziale fiancheggiatore di Salah.
Solo quando raggiungo Briga mi tranquillizzo, l’analista politico che è in me, si chiede: perché hanno fermato solo noi? In effetti, un cambio di strategia da parte di Hollande c’è stato. È passato da «saremo spietati» della prima ora, al più potente «saremo implacabili». Eppure dovrei saperlo, il linguaggio dei leader è la chiave di tutto. Devo cambiare. Imparare la Marsigliese per fare pendant con Allah Akbar, che già padroneggio. Per prudenza, nel 2016 non andrò a Roma, niente Giubileo (non voglio essere schedato dal Daesh), basta avere pensieri liberi, mi devo adeguare all’intellighenzia, ora nei salotti radical chic sosterrò la guerra, non solo i bombardamenti ma l’elegante «boots on the ground», così la necessità di mandare i nostri giovani (meglio quelli dei centri sociali, perché già addestrati) a combattere nel deserto contro i tagliagole nero vestiti. Prendo l’aspirinetta, mi sento già un altro.