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 2015  novembre 01 Domenica calendario

I danni dell’austerità dalla Grande depressione a oggi, passando per i moniti (ignorati) di Keynes

Nel discorso alla Banca mondiale nel maggio 2011, sostenevo che l’impatto di un’austerità indiscriminata sulla crescita economica sarebbe stato molto destabilizzante per le economie europee. La storia è piena di esempi di spaventosi dissesti in seguito all’attuazione di drastici tagli di spesa e di misure di rigore in tempi di alta disoccupazione e basso sfruttamento delle risorse produttive. Nel suo esordio, la Grande Depressione degli anni 30 venne affrontata proprio allo stesso modo, con esiti deleteri, che spinsero John M. Keynes a lanciare un monito contro la follia di tali politiche. 
Ci sono molte somiglianze con lo stato di desolazione in cui versa oggi l’economia europea. Sulle misure da adottare, l’opinione dei decisori europei è stata un’altra. Ma oggi, a conti fatti, i pretesi risultati delle politiche di austerità nel ridurre il peso di deficit e debito si rivelano pessimi. È importante chiedersi per quali ragioni il dibattito economico si sia così appiattito nell’incensare i poteri terapeutici dell’austerità. Avere ignorato i moniti di Keynes è un fattore importante. Ma c’è stata anche una strana confusione tra l’esigenza di promuovere riforme istituzionali e l’esigenza di austerità. È indubbio che l’Europa abbia bisogno ormai da tempo di riforme istituzionali (fisco, pensioni...). Ma si deve distinguere tra la necessità fondata di riforme e quella presunta di un rigore indiscriminato. Mescolando le due cose in un’unica formula, è diventato difficile parlare di riforme senza al contempo parlare di tagli alla spesa pubblica in ogni settore. È come se a un malato che chiede un antibiotico per debellare la febbre venisse data una compressa di antibiotico mischiato a veleno per topi: impossibile assumere l’uno senza assorbire anche l’altro. 
Se si sostengono le riforme economiche, si deve accettare anche l’austerità (così ci è stato ripetuto), ma in realtà non c’è nessuna buona ragione per mescolare i due elementi in un’unica formula. Numerosi Paesi in Europa hanno ancora bisogno di riforme, ma non hanno affatto bisogno di altre misure di austerità. Oltre duecento anni fa Adam Smith sosteneva che una buona politica economica deve prefiggersi due obiettivi: «Primo, mettere i cittadini in grado di produrre un congruo reddito e procacciarsi di che vivere; secondo, fornire allo Stato o alla comunità introiti sufficienti a garantire i servizi pubblici». Il padre dell’economia moderna e migliore araldo del sistema di mercato non aveva alcun dubbio su come e dove lo Stato dovesse corrispondere alle esigenze di una società sana. Per generazioni, il dibattito pubblico ha sempre più avvalorato e sostenuto le ampie vedute di Adam Smith. Ci sono buone ragioni per pensare che sarebbe successo anche oggi, se solo si fosse lasciato spazio a un dialogo pubblico aperto e informato, anziché assoggettarlo alla presunta superiorità di giudizio dei leader finanziari, con la loro sconcertante ristrettezza di vedute riguardo all’umana società e il loro disinteresse per le esigenze di una democrazia deliberativa.