Il Sole 24 Ore, 1 novembre 2015
Un Qe-bis e il taglio dei tassi: questo il programma di Draghi per dicembre
L’intervista del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha offerto una nuova chiave di interpretazione ai mercati finanziari sulle prossime mosse di politica monetaria dell’istituto di Francoforte alla riunione del 3 dicembre.
Molti economisti e osservatori di mercato ritengono che la Bce possa decidere un nuovo stimolo monetario (il cosiddetto Qe2) anche contemporaneamente a un taglio del tasso d’interesse sui depositi delle banche e a eventuali «altre misure», cui Draghi ha fatto riferimento nell’intervista pur senza volerle specificare. Il presidente della Bce potrebbe puntare insomma ad andare oltre le aspettative di mercato, come spesso ha fatto in questi quattro anni, per ottenere un impatto più forte.
Nelle sue parole c’è una nota di cautela: «Vedremo se un ulteriore stimolo è necessario. La questione è aperta». Alcuni governatori hanno espresso una preferenza per attendere una valutazione più completa sul Qe, l’acquisto di titoli pubblici avviato a marzo, per 60 miliardi di euro al mese, e dare più tempo a questo strumento nelle modalità attuali. Altri membri del consiglio, fra cui figure influenti come il capo economista Peter Praet, che a dicembre presenterà nuove previsioni sull’inflazione e la crescita nell’eurozona, ritoccate al ribasso, e Benoit Coeuré, responsabile dei mercati, hanno però manifestato una posizione più decisamente interventista. Non va poi dimenticato che già nel consiglio di Malta, dieci giorni fa, una minoranza dei partecipanti si era espressa per avviare subito una nuova azione di stimolo. Discussione aperta quindi il 3.
Il lavoro dei comitati tecnici, composti da rappresentanti delle banche centrali nazionali, e dello staff della Bce è già iniziato «per preparare analisi sull’efficacia relativa delle varie opzioni». Draghi stesso ha offerto alcuni indizi interessanti nell’intervista. «Se ci convinciamo che il nostro obiettivo d’inflazione a medio termine è a rischio – ha dichiarato – intraprenderemo tutte le azioni necessarie». Quest’ultima espressione ha evocato per alcuni il famoso discorso di Londra del 2012, quando, nella fase più acuta della crisi dell’eurozona, il banchiere centrale italiano pronunciò le stesse parole: «whatever it takes». La crisi, almeno in quelle proporzioni è passata, ma l’inflazione, oggi a zero, resta lontana dall’obiettivo di avvicinarsi al 2%. E Draghi rileva anche che «ci vorrà più tempo di quanto previsto a marzo (quando partì il Qe ndr) per tornare alla stabilità dei prezzi». Un’osservazione che potrebbe far pensare quanto meno a un allungamento del Qe, oltre il settembre 2016. Sui mercati c’è chi ritiene però che la Bce potrebbe alla fine decretare anche un aumento degli importi mensili degli acquisti.
Il secondo elemento è il taglio dei tassi d’interesse sui depositi, oggi a -0,20%, che «può tornare a essere uno degli strumenti da utilizzare». È «prematuro», ha aggiunto, dire ora se possa essere usato in contemporanea a un rafforzamento del Qe. Ma anche chiarito che le preoccupazioni di un anno fa sui tassi negativi sono state smentite dall’esperienza e che altri Paesi hanno tassi sui depositi ancor più bassi (-0,75% in Svizzera e Danimarca, per esempio).
Il terzo elemento sono non meglio precisate «altre misure». E qui ha detto che la Bce ha già oggi un menù imponente di strumenti, ma ha aggiunto, citando il «Don Giovanni» di Mozart, che «è prematuro dire che in ogni caso il catalogo è questo».
L’ultimo punto dell’intervista all’attenzione di economisti, operatori e investitori è l’affermazione che «non c’è un legame diretto» fra le scelte della Bce e quelle della Federal Reserve americana. Dato che la prima deciderà il 3 dicembre e la seconda il 16, Draghi non si sente condizionato ad aspettare le mosse della Fed.