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 2015  novembre 01 Domenica calendario

Le sette macroscopiche carenze che hanno tenuto bloccata Roma

C’è un libro su Roma, «Destini e declini», scritto da Romano Benini (editore Donzelli), in cui si legge tra l’altro: «Nel mito fondativo di questa città, è molto evidente la rappresentazione della sua funzione come luogo del riscatto e dell’emancipazione per tutti». Ma come riscattarsi dalla decadenza ed emancipare la sorte di Roma da questa stagione che l’ha vista in gravissima sofferenza? Ci sono sette macroscopiche carenze che hanno tenuto bloccata Roma – creando una Questione Capitale che riguarda l’intera nazione – e senza il superamento di queste la risalita diventa ardua. 
LE ELITES
Manca una borghesia colta, capace di presidiare il campo. E dunque c’è da ricostruire – già nel periodo del commissariamento e nella selezione di quelli che saranno i nuovi eletti in Campidoglio – quella vocazione delle élites a fare le èlites. La borghesia romana è fatta per lo più di da professionisti che vivono nel rapporto privilegiato, se non esclusivo, con la pubblica amministrazione e con la politica. Ma soprattutto con la rendita, cioè non con l’economia produttiva e con quella dell’innovazione che a Roma non mancano. L’anomalia è superabile. 
IL RICAMBIO
Roma ha avuto intellettuali importanti che hanno fatto opinione e dato il tono civile a questa città in altre stagioni. Non è restato niente e quel che è restato – un’intellettualità per lo più di sinistra – ha partecipato spesso agli orrori politico-amministrativi di Roma o si è girata dall’altra parte o s’è accontentata di un Premio Strega o di altre inutili prebende. Esistono trenta-quarantenni che possono emergere davvero portando aria nuova, invece di pasolineggiare fuori tempo massimo? Urge cercarli. 
L’ORGOGLIO
La mancanza di orgoglio. È una tara paralizzante. Ma superabile. Prima si diceva: «Cives romanus sum». Ora troppi romani la pensano più o meno così: dopo l’assassinio di Giulio Cesare, dopo la caduta dell’impero, a Roma non è successo niente e niente per noi veramente accadrà. Un modo di pensare sbagliato e contraddetto dalla storia. Osserva un grande saggista, Alfonso Berardinelli: «L’Italia deve riformare Roma insieme a Roma e lo Stato deve spingere la Capitale a muoversi per non trasformare il declino in decadenza». 
LE REGOLE
La farraginosità delle regole burocratico-amministrative è il grande freno. Rende il sistema più costoso e poroso, e più facilmente infiltrabile da parte della corruzione e dei clientelismi. Questo ambiente limaccioso – in cui lo scandalo di Mafia Capitale ha avuto buon gioco e le malversazioni partitiche si sono rivelate padrone – alla fine distrugge gli anticorpi. Meno regole o regole più chiare significare togliere tappi. Stefano Moroni, uno studioso di Teorie della pianificazione al Politecnico di Milano, ha appena pubblicato un libro – «Libertà e innovazione» – nel quale avverte: «Per avere città creative, non sono le politiche a dover essere creative ma le persone. Le politiche devono solo non impedire che innovativi siano i cittadini e gli imprenditori». 
L’ACCIDIA
Un peccato capitale che va cancellato? L’accidia dei romani. Osserva Romano Benini: «L’accidia è l’adagiarsi sulle rendite. L’essere indulgenti verso se stessi e ciò riguarda sia le classi dirigenti sia i cittadini. L’accidia è il non saper cogliere le occasioni e non saper favorire le energie che a Roma non mancano. Qui ci sono presidi produttivi importanti ed eccellenze imprenditoriali ma circondate da un contesto che non le aiuta». 
LA RESPONSABILITÀ
Prima Roma sentiva di avere un salvacondotto che gli derivava dallo status di Capitale. Si auto-perdonava tutto, tanto lo Stato la metteva al riparo da se stessa. Poi però, tra crisi economica e obblighi di razionalizzazione di spesa, il Palazzo (nazionale ed europeo) s’è rattrappito e anche il rapporto con la città è dovuto cambiare. Mettendola in sofferenza. Ora è il momento di un nuovo senso di responsabilità da parte dei cittadini e delle istituzioni. 
LO STRABISMO
Lo strabismo della politica. Prima si focalizzava su Roma come vetrina, mentre la Capitale stava diventando uno dei tanti posti dell’Italia senza più centralità politica e civile. Ma Roma è Roma e va ricalibrata da parte di tutti – cittadini, istituzioni locali e nazionali – la maniera di guardarla.